Sembra che il governo Conte, nella persona del ministro Boccia, si appresti ad inserire, all’interno del ddl Bilancio 2020-2022, la legge quadro sulle autonomie, che dovrebbe definire il perimetro entro cui procedere poi alla definizione degli accordi con le tre Regioni che hanno chiesto più poteri, ai sensi dell’art. 116 della Costituzione.



Non vorrei apparire malizioso, ma non sia mai che il ministro Boccia imprima quest’accelerazione per fare un favore al presidente uscente dell’Emilia-Romagna Bonaccini prima del 26 gennaio, quando si svolgeranno le elezioni per il rinnovo degli organi di questa Regione.

Non dico questo perché io sia contrario al riconoscimento delle giuste istanze autonomistiche di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, dal momento che ho avuto l’onore di far parte, insieme al presidente Formigoni, della delegazione lombarda che aprì con l’allora premier Prodi il dialogo per ottenere nuove competenze legislative.



Io credo si debba finalmente arrivare a dare attuazione all’art. 116 e che di tempo se ne sia perso troppo, a causa delle resistenze dei governi, di destra e di sinistra, che si sono succeduti in questi anni: quello che mi preoccupa è il percorso che sta scegliendo questo Governo con questa legge quadro, non prevista dall’art. 116, con la quale, secondo le anticipazioni di stampa, si vorrebbero definire questioni particolarmente delicate e complesse: individuazione dei fabbisogni standard; definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep); ripartizione delle funzioni amministrative fra Regioni e Comuni.



Sono esattamente le questioni che fino ad oggi hanno bloccato tutto il processo, perché lo Stato e i governi non hanno mai avuto la forza, oltre alla volontà, di affrontare temi assolutamente esplosivi. Sto pensando in particolare alla questione dei Lep, che Boccia vorrebbe addirittura far definire da un commissario, che è una tipica figura tecnica, mentre la scelta di quali servizi garantire e in quale quantità sul territorio nazionale in forma omogenea è la scelta più politica che si possa immaginare.

Vorrei dunque mettere in guardia tutti gli attori coinvolti in questo percorso, Governo, Parlamento, Regioni e Comuni a non ripetere l’errore fatto dalla sinistra con la modifica del Titolo V della Costituzione.

Anche allora, in vista di vicine elezioni, la sinistra cercò di recuperare rispetto al centrodestra sul tema del federalismo, approvando una confusissima riscrittura del Titolo V, che ha dato origine ad enormi problemi interpretativi e a continui conflitti istituzionali fra Stato e Regioni.

Una riforma come quella prevista dall’art. 116 della Costituzione è troppo importante e delicata per essere subordinata e condizionata, nei tempi e nelle modalità di attuazione, dalla necessità di dare un “aiutino” ad un presidente di Regione amico che corre qualche rischio di non riuscire a farsi riconfermare.