Ieri la Grecia è andata al voto e si è così conclusa la non felice disavventura di Syriza, un partito che voleva il cambiamento e ha vinto scagliandosi contro i vecchi partiti, la vecchia politica, il vecchio establishment, poi ha rischiato di far saltare l’euro, infine è stato commissariato dalla troika. Intendiamoci, Alexis Tsipras è stato un leader coraggioso, non quando ha minacciato di far saltare tutto, ma quando si è arreso di fronte alla realtà delle cose.
La parabola greca ha molto da insegnare all’Italia. Syriza anticipa i Cinquestelle sia nella sua effimera ascesa, sia nella sua inevitabile caduta. Anche l’Italia, del resto, è ormai governata da una troika. No, non quella formata da Ue, Bce e Fmi; la nostra è una triade domestica, anche se si mette in relazione diretta con Bruxelles e con Francoforte. E’ formata dal presidente della Repubblica, dal presidente del Consiglio e dal ministro dell’Economia.
Sono loro, Mattarella, Conte e Tria, ad aver evitato la procedura d’infrazione, offrendo al paese una tregua che, se ben sfruttata, potrebbe essere davvero fruttuosa.
La sequenza è chiara. Il Quirinale dice che non c’è bisogno di nessuna procedura perché i conti sono in ordine. A palazzo Sella il ministro e i suoi tecnici ritoccano le ultime entrate straordinarie per mettere insieme gli otto miliardi e mezzo necessari, poi a palazzo Chigi il Consiglio dei ministri vara l’aggiustamento, mentre i due capi politici abbozzano. Matteo Salvini e Luigi Di Maio non hanno toccato palla e per coprire la ritirata hanno continuato ad agitare vecchi slogan propagandistici. Meglio così, anche se i problemi restano e rimane difficile risolverli, mentre è chiaro che a settembre ricomincerà il balletto in vista della prossima Legge di bilancio.
Il primo problema è la crescita. Secondo i neo-keynesiani alla carbonara, più deficit uguale più Pil, se così fosse allora con meno deficit avremmo meno Pil. In realtà, le equazioni della crescita sono molto più complesse e derivano da una combinazione virtuosa di politiche dell’offerta e sostegno della domanda. Il governo ha scoperto un aumento delle entrate grazie soprattutto alla fatturazione elettronica, poi ha incassato la multa comminata a Gucci, il miliardo di utili sottratto alla Cassa depositi e prestiti (la quale, nel frattempo, ha collocato titoli per un miliardo e mezzo che altro non sono se non debito), inoltre ha preso dalla Banca d’Italia non l’oro (non ancora), ma gli utili. In sostanza, si tratta di misure una tantum, che riportano il disavanzo pubblico verso il 2%, con uno spread, che determina il costo del debito, attorno al 2% nonostante il miglioramento della scorsa settimana.
Tutto rinviato, dunque, mentre in autunno ci attende un aumento dell’Iva di 23 miliardi e torneranno in auge gli aumenti di spesa (reddito di cittadinanza bis, salario minimo per legge eccetera) o le mancate entrate derivanti da una flat tax che, anche se non è affatto piatta, se sarà volontaria o applicata solo sui redditi più bassi, porterà nell’immediato meno denaro al fisco e, di conseguenza, più deficit.
Da quel che si capisce la nuova Commissione europea è disposta a concedere due anni ai paesi con le finanze in dissesto per consentire loro di metterle in ordine senza l’ansia delle pagelle trimestrali. Bene, se è così, sembra la procedura giusta, ma ciò non toglie che l’Italia debba risanare il bilancio pubblico con finanziarie serie e rigorose: niente spendi-e-spandi, ma economie fino all’osso, avrebbe detto Quintino Sella.
E’ questo che vuole fare il governo giallo-verde? Apparentemente no. E’ questo che sarà costretto a fare? Apparentemente sì. Lo vuole la troika, quella interna; e lo dimostra chiaramente la lezione di Syriza. Italiani e greci, stessa faccia, stessa politica.