Enrico Letta non ha fatto a tempo a sciogliere la sua riserva come nuovo segretario del Pd, che il “mattinale” del Nazareno registrava già due novità: entrambe problematiche in vista dell’assemblea dem di domani. 

Una era contenuta in un duro editoriale di Marco Travaglio a difesa dei magistrati siciliani che stanno indagando sulle Ong in odore di illeciti traffici di essere umani fra la Libia e le coste italiane. Il vero punto d’arrivo del direttore del Fatto Quotidiano era un forte rilancio delle idee di Marco Minniti, il ministro degli Interni  del governo Gentiloni che aveva pressoché fermato gli sbarchi clandestini dal Nord Africa.



Nel suo ruolo confermato di suggeritore strategico e portavoce giornalistico dell’ex premier Giuseppe Conte, la mossa di Travaglio è abbastanza leggibile. Attacca un Pd prostrato da due lati: critica la linea dei “porti aperti” che nei fatti non è di maggioranza neppure nell’elettorato di centrosinistra (certamente è di minoranza in quello grillino); e chiama nella “coalizione Conte” – quella tuttora sostenuta dai dem ex Ds – il ministro Pd “di successo nazionale” sul fronte migranti con una linea di “gestione ferma”. Gli Accordi di Dublino (firmati dal governo Letta) sembrano lontanissimi. 



Ma la vera notizia di ieri è stata l’iscrizione ai Verdi annunciata del sindaco di Milano Beppe Sala. Il quale non è un dirigente Pd, avendovi aderito soltanto nel 2016; ma il suo incarico al vertice dell’Area metropolitana milanese è nei fatti il caposaldo del centrosinistra dem a nord del Po, oltre le linee del centrodestra a trazione leghista.

Candidatura e vittoria – alle primarie e poi alle amministrative 2016 – hanno dovuto molto al feeling maturato con l’allora leader Pd Matteo Renzi durante l’Expo di Milano 2015. È stato allora che Sala ha nei fatti optato per una candidatura “indipendente di centrosinistra” quando il suo nome di ex city manager di Letizia Moratti (e di Ceo di un Expo sostanzialmente conquistato da lei) era circolato perfino come possibile sindaco “indipendente di centrodestra”. È stato il Pd renziano al suo massimo a fare la differenza, cinque anni fa, nel calamitare in termini vincenti il profilo “civico ambrosiano” di Sala, rispetto a un centrodestra già declinante in Forza Italia e non ancora investito dal ciclone leghista pilotato del milanese Matteo Salvini. 



Sala si è ufficialmente ricandidato per Palazzo Marino appena tre mesi fa. Ma da allora è cambiato tutto o quasi (compresa la prospettiva che il sindaco di Milano potesse essere chiamato in un ipotetico esecutivo Conte ter). Poco stupore che anche Sala abbia ora deciso di “resettare” il suo gioco, in tempo reale. 

A Roma non c’è più un governo “di centrosinistra” (o almeno “avversario del centrodestra”): la stessa Lega è rientrata in maggioranza e la leadership di Draghi è talmente istituzionale che è difficile, per Sala, immaginare di trovare sponde nazionali per la partita milanese di ottobre. E se un “lumbard” moderato e di governo come Giancarlo Giorgetti è approdato al Mise, dai palazzi romani del centrosinistra giungono solo immagini di sfiduciante lacerazione. E proprio il Pd – a Milano assai più importante di M5s rispetto a Roma, Torino o Napoli – pare ritrovarsi in forte difficoltà, più dei grillini: comunque orientati a diventare il “partito di Conte”, cioè del premier negli ultimi trenta mesi. 

È verosimilmente per questo che Sala non ha neppure voluto attendere l’insediamento di Letta al Nazareno. Annunciando due scelte in parte reali in parte virtuali. 

Lo smarcamento dal Pd significa che Sala – mantenendo al momento la ricandidatura a sindaco di Milano – non si sente più “il candidato dem”. Sarà il Pd di Letta che dovrà decidere se Sala sarà o no il proprio “contender” a ottobre. Nel frattempo il sindaco uscente ricolloca e rafforza il suo profilo politico in un’area virtualmente non esistente nello scacchiere italiano e invece in consistente ascesa in Europa: in particolare in Germania, dove alle elezioni politiche di settembre i Grünen sono attesi a nuovi progressi. E soprattuto a essere partner quasi paritari di una nuova coalizione post-Merkel con Cdu-Csu.

I Verdi tedeschi – in generali nordeuropei – sono ambientalisti decisi ma non più antagonisti (come ad esempio l’ala no-Tav/no Vax di M5s). Hanno reciso da tempo ogni retaggio ideologico e sono già stati forza di governo in Germania (in coalizione con Spd). Nel quindicennio di opposizione al merkelismo hanno ulteriormente affinato una visione politico-economica radicata nel format della democrazia di mercato. Una visione nella quale l’impresa non è meno centrale rispetto al welfare, la competitività e l’innovazione hanno valore eguale alle pari opportunità sociali; la sostenibilità fa rima con education e ricerca tecnologica. In Europarlamento i Verdi sono all’opposizione del blocco Ppe-Pse-Alde, ma avrebbero voluto che il piano Next Generation Eu (oggi rifuso nel Recovery Plan) avesse investito di più sulla doppia transizione, energetica e digitale. 

I Verdi – anche nella narrazione mutuata da Sala – sono la declinazione “liberal/radical” (“di sinistra”) di una transizione politica europea che “a destra” sembra invece assumere il volto di Emmanuel Macron (ricandidato fra un anno alla presidenza francese e punto di riferimento di Italia viva di Renzi). Nel turbolento vissuto quotidiano odierno della politica italiana, Sala “verde” sembra volersi porre in concorrenza con il “progetto Conte”, attualmente sottoposto a un doppio test.

Da un lato l’ex premier deve ancora emergere formalmente come leader di un “nuovo M5s”, definitivamente sfrangiato di tutte le opposizioni interne. Dall’altro deve misurarsi con il collasso del Pd: dove la segreteria Zingaretti è caduta proprio sulla volontà di mantenere la logica della “coalizione organica” con M5s e sul nome di Conte. Sala, per alcuni versi, pare muoversi in modo speculare e competitivo: riaffermando la forza modernizzante della tradizione euro-socialdemocratica rispetto al populismo grillino; e chiamando verso un centrosinistra di governo un elettorato “verde” che in Italia in realtà ha votato M5s per ripiego, non vedendosi offerto un vero partito “euro-verde”.

Nessuno può prevedere oggi quale futuro possa avere l’iniziativa politica di Sala: nel periodo breve dell’appuntamento elettorale di Milano, piuttosto che in quello del prossimo voto politico, che potrebbe essere non meno breve. Quel che è evidente è che per Letta il tempo sembra farsi da subito brevissimo. Né Sala né Travaglio – né altri attori della scena politica nazionale – sembrano disposti a aspettare lui o un “vecchio Pd” che annunciasse la novità di un congresso rifondativo fra un anno.