A quasi due anni dagli attentati di Barcelona e Cambrils (17 agosto 2017) il quotidiano spagnolo on line Público.es grazie alle indagini del giornalista Carlos Enrique Bayo rivela nuovi particolari sulla relazione tra l’imam Es Satty, probabile cervello della cellula terrorista, e il servizio segreto spagnolo (Cni, Centro Nacional de Inteligencia).
L’inchiesta giornalistica si basa sia su alcuni documenti riservati, sia su una relazione che lo stesso Cni ha messo a disposizione delle forze di polizia spagnole e catalane.
Secondo il giornalista i servizi segreti spagnoli avevano già contattato l’imam quando si trovava in carcere per traffico di droga in Spagna. Le tracce di questa relazione risalgono al 2006, quando Es Satty compare tra gli indagati dell’operazione Chacal, accusati di reclutare combattenti da inviare in Iraq. Ancora più indietro, la polizia si era imbattuta in Es Satty seguendo le tracce di alcuni individui arrivati dalla Siria e nel 2005 aveva chiesto di mettere sotto controllo il telefono dell’imam. D’altronde a tre mesi dagli attentati di Barcellona e Cambrils proprio i servizi segreti confermeranno che l’imam Abdelbaki Es Satty era stato un loro informatore.
Dopo essere stato scarcerato, l’imam divenne un uomo al soldo dei servizi di sicurezza che gli consentiranno di guidare una moschea nel piccolo centro di Ripoll dove l’imam attraverso la propaganda aveva contribuito a radicalizzare un gruppo di giovani, alcuni dei quali poi andranno a formare parte della cellula terroristica che stava pianificando gli attentati.
Alla luce di questa inchiesta emerge che l’imam passava al servizio segreto tutte le informazioni in suo possesso. Sempre alla luce di queste rivelazioni sembra accertato che i servizi di sicurezza fossero a conoscenza anche dei dettagli dei viaggi che i terroristi avevano compiuto, nelle settimane precedenti agli attentati, sia in Francia che in Belgio.
A tale proposito dall’inchiesta del giornalista spagnolo emerge con chiarezza che il Cni seguiva da tempo tutti i movimenti del gruppo. Il servizio segreto spagnolo era infatti al corrente del viaggio di due componenti della cellula, Hichamy e Aalla, in Svizzera e in Germania tra il 18 e il 20 dicembre 2016 e di quello di Abouyaaqoub (l’autore della strage alla Rambla), Aalla e Hichamy in Francia e in Belgio tra il 25 e il 28 dicembre dello stesso anno. Il Cni conosceva le auto utilizzate, i loro numeri di targa (tra cui l’Audi A3 impiegata dal gruppo a Cambrils) e perfino il motivo dei viaggi.
Secondo Público.es ciò significa che il Cni non si limitava alla geolocalizzazione dei telefoni cellulari del gruppo di giovani, bensì ne ascoltava anche le conversazioni.
Allo scopo di garantire la riservatezza nelle comunicazioni tra l’imam e il servizio di sicurezza era stata realizzata una casella di posta elettronica, apparentemente inattiva, senza inviare alcuna mail. Era stata creata una email e i terroristi potevano comunicare lasciando i messaggi nella bozza della casella senza mai inviarla e quindi non potevano essere in alcun modo intercettati. Secondo Público.es la mail in questione era [email protected], alla quale si accedeva digitando la password PEREJUAN18. Tuttavia l’insieme di queste informazioni non solo non venne mai comunicato alla polizia catalana (per dimostrarne l’inefficienza o per mancanza di coordinamento?), ma il servizio segreto spagnolo non diede nemmeno l’allarme quando prese atto che l’imam era scomparso da Rippoll né tantomeno il servizio segreto spagnolo pose fine alle operazioni del gruppo prevenendo in questo modo qualsiasi attentato terroristico.
Ora, al di là delle smentite dell’ex segretario di Stato alla sicurezza José Antonio Nieto, che ha negato fermamente che l’imam Es Satty fosse un informatore del Cni, sorgono diverse perplessità: o il servizio segreto spagnolo, nonostante l’insieme di tutte queste informazioni dettagliate e circoscritte, fallì clamorosamente nel prevenire gli attentati (nonostante il fatto che i servizi spagnoli nel mondo dell’antiterrorismo siano molto ammirati per la loro professionalità) perdendo il controllo della situazione; oppure – come indicato da Mireia Boya, scienziata, attivista catalana ed ex membro del Popular Unity Candidacy – il servizio segreto spagnolo non fece nulla per fermare gli attentati perché se ne servì a livello politico per impedire il referendum sull’autonomia catalana. Fra l’altro le forze antiterrorismo spagnole erano pienamente consapevoli della probabilità di un attentato in Catalogna e avevano dichiarato un livello 4 di allarme, come avevano affermato fonti dell’antiterrorismo al quotidiano Abc nell’agosto del 2017. Ebbene, tale consapevolezza era anche la conseguenza delle previsioni fatte dal Citco e cioè dal Centro di intelligence contro il crimine organizzato del ministero dell’Interno spagnolo. Esiste naturalmente una terza possibilità, tutt’altro che remota considerando la storia degli informatori all’interno dei servizi segreti: e cioè che l’imam sia divenuto un agente doppio tradendo la fiducia del servizio segreto spagnolo.
Naturalmente un’operazione di questo genere non solo richiedeva la piena consapevolezza dei vertici del servizio segreto spagnolo, ma soprattutto richiedeva la legittimazione implicita dei vertici politici poiché il direttore del Cni dipende direttamente dal ministero della Difesa. Se la seconda ipotesi dovesse trovare conferma dal punto di vista politico-giudiziario potrebbe avere delle conseguenze rilevanti, mentre dal punto di vista storico un’operazione di questo genere non rappresenterebbe nella storia dei servizi segreti uno strumento di destabilizzazione inusuale visto che per esempio i servizi segreti italiani se ne servirono nel contesto della strategia della tensione. Basti pensare al ruolo che ebbe l’Uarr (Ufficio affari riservati del ministero degli Interni) durante la direzione di Federico Umberto d’Amato nel contesto della strategia della tensione, ma soprattutto dobbiamo tenere presente che storicamente i servizi segreti in generale si sono sempre serviti di qualsiasi gruppo eversivo (di estrema destra o di estrema sinistra, islamico o meno) per le loro attività con la complicità e connivenza del potere politico. Pensiamo ad esempio come sostenuto da Alain Rodier – analista del Centro di intelligence di Parigi diretto da Eric Denécé – che per Pechino le Triadi cinesi non sono più percepite come una minaccia ma come una risorsa, dal momento che l’economia criminale è strettamente legata a quella legale.