Il Governo ha retto alla prova della revoca di Siri e sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio hanno parlato della necessità di affrontare il nodo della flat tax in vista della prossima Legge di bilancio. Sul tema, però, Giovanni Tria, in un’intervista al Sole 24 Ore, mette già un paletto importante. “Una riforma fiscale non si può realizzare a deficit”, spiega il ministro dell’Economia. «È noto che quando si riducono le imposte la possibilità di farlo in deficit è molto limitata ed è solo possibile quando il debito pubblico non è molto alto e il disavanzo contenuto. Quando, come nel caso dell’Italia, c’è un debito eccessivo e un deficit già consistente legato a spese correnti, è ovvio che non si può introdurre la flat tax», ci dice Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie .



Cosa occorrerebbe per poter varare una riforma fiscale?

Studi fatti sulla curva di Laffer mostrano che quando si tagliano le tasse nel breve termine c’è un maggior deficit, mentre nel medio lungo no, se la pressione fiscale da cui si è partiti è troppo alta. Il problema per l’Italia è quindi il disavanzo di partenza. Se fosse, per esempio, allo 0,8% del Pil, potremmo aumentarlo per ridurre gradualmente le imposte. Questo perché la crescita che una riduzione delle tasse consente di ottenere nel tempo andrebbe a compensare il maggior indebitamento. La vera questione per noi ora non è ridurre le tasse, ma evitare che aumentino. L’unico modo per farlo è tagliare le spese correnti e una parte delle cosiddette rendite fiscali: un’operazione delicata da fare.



In effetti lo stesso Tria parla di “scelte politiche” da compiere…

Tutte le scelte pubbliche sono scelte politiche. Mi sembra che però Tria usi queste parole perché è costretto a fare delle scelte sotto pressione politica. Parlare in questo campo di scelte politiche è assurdo, perché ci sono i vincoli delle leggi economiche. Se si fanno spese pubbliche eccessive oppure operazioni distorsive del sistema tributario che non aiutano la collettività, siamo nel campo economico, non politico.

Prendiamo il tema delle tax expenditures: Tria dice che “dietro a ogni spesa fiscale, cioè a ogni detrazione o deduzione, ci sono degli interessi, anche in questo caso si tratta di assumere delle scelte politiche precise”.



È troppo comodo dire che è una scelta politica, questa è una scelta di politica economica, cioè c’è un modello economico da seguire. Se si stabilisce che le piccole energie rinnovabili di autoproduzione non vanno sovvenzionate, ma le grandi sì, si fa una scelta arbitraria dal punto di vista economico. È come se dicesse che l’autoproduzione piccola è meno efficiente di quella grande. La tesi di Tria implicherebbe l’inesistenza della scienza economica.

Perché secondo lei allora Tria, che è pure un economista, fa dichiarazioni di questo tipo?

Probabilmente per difendersi e anche per lavarsene le mani. È come se dicesse che lui vuole un bilancio decente, che rispetti i vincoli macroeconomici. Per il resto, come se fosse Ponzio Pilato, lascia la decisioni agli altri. Mi sembra il ragionamento di chi, sotto pressione, si difende dicendo che è tutto politico, mentre qui si tratta di dire se usiamo l’economia di mercato o quella dirigista. Il punto è che i due partiti al Governo hanno diversi modelli economici, politici ed etici. Sono modelli contrari, uno vuole gli investimenti, l’altro i sussidi.

Quindi è come se Tria lasciasse aperto lo scontro tra i due tirandosi indietro?

Il suo discorso è: mi arrendo, non sono un ministro che decide. Non ho politica economica se non quella di rispettare i parametri che indica l’Unione europea. È un ministro che, in difficoltà, vuole rispondere a Bruxelles e al Presidente della Repubblica, così da non dimettersi. Con la situazione turbolenta nel Governo, Tria ha la preoccupazione principale di non essere commissariato e quindi mette le mani avanti facendo capire che per prima cosa obbedisce a Bruxelles. Fatto questo può obbedire a Salvini e Di Maio: decidano loro cosa fare.

(Lorenzo Torrisi)

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