Giornata ad alta tensione sul nodo del Mes. I problemi sono tutti interni alla maggioranza e appaiono a prima vista come una smagliatura nella Lega, il partito che guida l’opposizione alla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità.

Prima i fatti. È successo che il ministero dell’Economia ha inviato alla commissione Esteri della Camera una nota tecnica, sottoscritta dal capo di gabinetto Stefano Varone, nella quale il dicastero di via XX Settembre – guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti – sostiene che il via libera non produrrebbe “nuovi o maggiori oneri” per le finanze pubbliche; anzi, potrebbe avere “effetti indiretti” positivi sul rating creditizio italiano. Una sorta di nulla osta alla ratifica.



Le opposizioni hanno esultato, mentre nella maggioranza è scoppiato il caos. La Lega ha chiesto che la Commissione esprima parere negativo alla verifica per evitare una “trappola” per l’Italia in quanto il Mes, magnificato dal Mef, sarebbe uno strumento “inutile e dannoso”. Fratelli d’Italia si è accodata alla richiesta: d’altra parte, Giorgia Meloni – al corrente del verdetto tecnico del Mef – aveva detto nel “parlamentino” di Bruno Vespa che, “finché io conto qualcosa, che l’Italia non acceda al Mes lo posso firmare con il sangue”.



Nello stesso tempo voci autorevoli della maggioranza si sono affettate a far sapere che la lettera inviata dal ministero dell’Economia avrebbe valore “tecnico e non politico”. Fatto sta che Giulio Tremonti, ex leghista ora esponente di FdI, ha rinviato di 36 ore la seduta della commissione Esteri sperando che dal Governo arrivi un’indicazione unitaria. Ovviamente al Pd e ai media pro vincolo esterno è stata servita su un piatto d’argento l’opportunità di criticare l’esecutivo, ricordando che l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea a non avere ratificato il trattato riformato e ora si ritrova pure un Governo spaccato.



Dunque: cos’è successo davvero dalle parti di via XX Settembre?

Il ministro riceve continue pressioni, molto insistenti, perché l’Italia ratifichi il Mes. Con i partner europei, Giorgetti finora ha tenuto il punto. All’ultimo Ecofin (preceduto, non a caso, da uno scaltro ripiegamento mediatico del partito pro ratifica) si è visto ripresentare il nodo Mes nel contesto di quella che va sotto il nome di “logica di pacchetto”, dove il Meccanismo di stabilità è diventato strumento di pressione e oggetto di scambio: Bruxelles potrebbe allentare i vincoli del riformando Patto di stabilità a carico dell’Italia (che assieme alla Francia sta trattando per avere meno austerity) a patto che approvi definitivamente la riforma del Mes.

Giorgetti ha resistito difendendo le ragioni della sua maggioranza, che vuole cambiare le condizioni capestro cui il Paese sarebbe sottoposto in caso di ratifica. Come ha spiegato una fonte al Sussidiario, il ministro, per sbloccare l’impasse, ha acconsentito in quella sede a mandare avanti l’iter di approvazione. Una mossa che nasconde una riserva: agli europei si fa vedere che il dossier procede, senza però dire che la volontà politica dell’approvazione non c’è. Da qui l’accelerazione in commissione Esteri, con la richiesta di un parere tecnico al Mef e i ragguagli venuti dagli uffici. Che hanno dato un responso scontato: non è un mistero per nessuno che l’alta burocrazia ministeriale è dalla parte di chi comanda a Bruxelles piuttosto che a Roma.

Per Giorgetti è una partita rischiosa, perché il pericolo che la commissione si spacchi e si possa giungere a un primo via libera al Mes, esiste. A quel punto, l’eventuale parere tecnico positivo della commissione Esteri potrebbe poi essere ribaltato dal voto dell’Aula. C’è il precedente della mozione adottata a maggioranza dalla Camera il 30 novembre scorso, con la quale il Parlamento impegnava il Governo a non approvare il ddl di ratifica del trattato. La discussione è calendarizzata in Parlamento per venerdì 30 giugno.

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