Ferrovie dello Stato ha scelto Atlantia come partner finanziario e industriale per il rilancio di Alitalia. Ne siamo contenti, perché la scelta ha ben precise ragioni tecniche alle quali abbiamo già accennato. È un segnale importante del fatto che la narrazione sulla “mancanza di fiducia” verso l’azionista o non c’è mai stata o è stata superata. In un clima di maggiore serenità proviamo quindi a leggere il documento redatto dai consiglieri giuridici del Ministro Toninelli in merito alla possibilità di rescindere la convenzione Autostrade senza oneri per lo Stato.



Non possiamo qui sintetizzare in poche righe un complesso documento giuridico di 62 pagine: ci limiteremo a riportare le tesi portate per sostenere la possibilità di rescindere la convenzione senza oneri per lo Stato e i dubbi che gli stessi estensori avanzano sulle loro stesse tesi: la sintesi, chiaramente espressa nella pagina finale, è degna di Lorenzo il Magnifico: “del doman non c’è certezza”.



Un primo argomento è il seguente: la concessione prevede che Autostrade, alla fine del periodo nel 2042, riconsegni la rete autostradale in perfette condizioni di funzionamento. Ora, l’interpretazione che gli avvocati suggeriscono è la seguente: “Il crollo del Ponte avvenuto il 14 agosto del 2018 ha determinato l’impossibilità di restituire ovvero consegnare al subentrante nella concessione tale determinato bene: una impossibilità definitiva e per legge imputabile al debitore, a meno che quest’ultimo non provi il fatto liberatorio, dimostrando che il crollo sia dovuto ad una causa a lui non imputabile.” Prosegue poi dicendo: “A questo primo dato di fondo, deve aggiungersi la considerazione, più di specie, che a nulla vale richiamare, da parte di Autostrade, la propria manifestata disponibilità a ricostruire il Ponte crollato. È ben evidente, per un verso, che per tale via Autostrade avrebbe ricostruito un bene diverso rispetto a quello che aveva l’obbligo di custodire, avente caratteristiche nuove e differenti rispetto a quelle del ponte originario …; in ogni caso, e per altro verso, la ricostruzione a cura di Aspi non avrebbe impedito la soluzione di continuità nella funzionalità della rete autostradale e, dunque, l’impossibilità di usufruire del Ponte per un tempo considerevole,  non definibile  con  certezza  e forse neppure  per  approssimazione, con quanto ne consegue per la circolazione su quel tratto autostradale”.



Non si vuole entrare nel profilo giuridico di queste affermazioni, ma si fa osservare quanto esse siano lontane dalla realtà: la concessione prevede l’obbligo di restituire l’autostrada funzionante e non il singolo manufatto originario; inoltre, l’obbligo di continuità del servizio non può scontrarsi con la necessità di demolire e ricostruire parti della struttura originaria che non sia possibile o conveniente mantenere. Leggendo queste argomentazioni, si capisce meglio la difficoltà che trova un’impresa a operare interventi complessi, avendo interlocutori che ragionano con un formalismo esasperato fino a questo livello e non si capisce che fine faranno tutte le altre concessioni autostradali, dato che è esperienza comune vedere demolire ponti per sostituirli con nuovi. Tutti inadempienti?

Un secondo argomento ruota intorno “all’assetto contrattuale asimmetrico, che pone la parte pubblica in una posizione di debolezza”. Il documento ricorda come la concessione abbia origine nel 1999, tra Anas e Iri e sia stata poi rinnovata di imperio da Antonio di Pietro nel 2006, proprio per porre rimedio al grave sbilanciamento a favore dei privati; sbilanciamento che, a dire degli avvocati, la nuova versione non solo non riduce, ma addirittura peggiora: strano destino dei moralizzatori. La convenzione però è scritta così, così è stata firmata dai dirigenti dello Stato e addirittura votata dal Parlamento. Gli avvocati, tuttavia, spiegano che ciò nonostante contiene norme che contrastano con l’ordinamento e che dovrebbero essere quindi annullate: in particolare l’art. 9-bis, quello proprio della revoca unilaterale (non per colpa, ricordiamo, che provoca la decadenza normata dall’art. 8). Valutiamo quale immagine di affidabilità fornisce all’estero uno Stato che firma un contratto, lo approva per legge in Parlamento e poi viene a dire, 13 anni dopo, che la norma a lui sfavorevole è nulla.

Questo però è ancora poco rispetto a quanto scritto più avanti: “Per maggiore completezza può aggiungersi che ogni dubbio, anche il più remoto, sarebbe fugato qualora il legislatore abrogasse il citato articolo 8-duodecies , comma 2, del decreto legge n. 59 del 2008, come convertito dalla legge n. 101 del 2008 (quello che ha approvato la convenzione, ndr). Per effetto di tale abrogazione, dovrebbe riprendere l’ordinario iter amministrativo dell’approvazione della Convenzione”. Semplice: se la convenzione non è più di gradimento, basta revocarne l’approvazione (13 anni dopo) e chiamare la parte per “riprendere l’iter amministrativo di approvazione”.

Il documento affronta anche il tema della mancata manutenzione, addentrandosi in complessi distinguo tra ordinaria e straordinaria: sembra di capire, tuttavia, che questo argomento non sia funzionale all’obiettivo di rendere possibile in tempi rapidi la revoca, senza dover aspettare che la magistratura accerti se vi sia stata o meno colpa grave per mancata manutenzione.

Queste in estrema sintesi le tesi a supporto della rescissione senza oneri: gli avvocati, per scrupolo, dedicano però quattro pagine per dire che è probabile che Autostrade ricorra in giudizio; che è possibile che il giudice non condivida la nullità dell’art. 9-bis da loro sostenuta; che pure può accadere che il giudice ritenga l’approvazione per legge sufficiente a dare legittimità alla convenzione e ai suoi contenuti … e che perfino arrivi a decidere che oggetto della restituzione siano i 2.854 Km di autostrade e non un singolo manufatto.

In tali casi, scrivono gli avvocati, l’entità dell’indennizzo/risarcimento da corrispondere ad Autostrade “sarebbe verosimilmente particolarmente elevata”, aggiungendo poi in nota: “La competente direzione di codesto Ministero è nella posizione conoscitiva migliore per poter fornire una più puntuale commisurazione di tale importo”. Rimaniamo quindi in preoccupata attesa.

Allora si comprende bene perché, dopo avere affermato per 64 pagine che la rescissione senza oneri è possibile, nell’ultima pagina, quasi in fondo, gli avvocati scrivano: “I possibili rischi evidenziati al paragrafo 11, (…), potrebbero comunque consigliare una diversa soluzione, rimessa alla valutazione politica o legislativa, volta alla rinegoziazione della stessa Convenzione”.

A chi spetta, infine, prendere questa decisione e questa responsabilità? Il parere dei giuristi è chiaro: “Spetta al dirigente della Direzione generale Vigilanza sulle concessionarie autostradali ma l’eventuale provvedimento dirigenziale di risoluzione deve essere approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze ai quali è comunque demandata la valutazione finale sull’adozione della misura, rimessa loro dall’ordinamento alla luce delle molteplici conseguenze che possono derivare da un simile provvedimento”. Si capisce quindi perché il M5S si affanni a far approvare un emendamento che chiede di tenere indenne i funzionari che firmeranno quell’atto. Chiediamo: la responsabilità patrimoniale, se non dai dirigenti, da chi sarà assunta? Da Toninelli e Tria?

Sono certo che la lettura attenta del documento dia la possibilità di valutare con ponderatezza a quali rischi ci espone il voler caparbiamente dare seguito a un’esternazione intempestiva del Ministro.

Un’ultima considerazione, per chiarezza. Quarantatré persone sono morte e la magistratura ha il dovere di accertare con il massimo rigore e tempestività le responsabilità e applicare le pene che il nostro ordinamento prevede.