L’inflazione comincia a mordere anche in Europa. L’Eurostat ha infatti rilevato a settembre un aumento su base annuale del 3,4%, con punte superiori al 6% in Estonia e Lituania. Nell’Ue preoccupa in particolare il rincaro delle materie prime energetiche, in primo luogo il gas naturale, le cui riserve sono ai minimi storici alla vigilia dell’inverno. Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, confessa di essere anche «un poco stupito che l’inflazione in Europa sia ancora così bassa, nel senso che ci si aspetterebbe di essere già a un livello simile a quello degli Stati Uniti, intorno al 5%».



Questo per via del problema relativo alle materie prime energetiche?

In realtà questa è un’inflazione piuttosto anomala, perché non è da domanda, ma nemmeno propriamente da costi, energia a parte. Il problema è che mancano le materie prime. L’esempio più noto è quello dei microprocessori per auto che arrivano nella stragrande maggioranza dei casi da Taiwan dove c’è stato un rallentamento della produzione che si sta cercando di risolvere. Non sappiamo ancora, invece, se nei prossimi mesi ci saranno ripercussioni sui prezzi delle materie prime agricole dal momento che il trasporto dei raccolti dal Canada (specialmente di grano e mais) sta procedendo al rallentatore dopo i danni alle infrastrutture causati dagli incendi estivi. In generale, quindi, l’inflazione sembra dipendere da disfunzioni dell’offerta.



In Europa desta preoccupazione la situazione relativa al gas e Gazprom viene accusata di non aumentare le forniture. Secondo lei, la Russia sta cercando di tenere i prezzi alti?

I russi stanno sicuramente agendo sulle forniture, ma credo non per imporre un prezzo alto, bensì per ragioni geopolitiche. Loro hanno un forte interesse al completamento del Nord Stream 2. Biden ha ceduto alle pressioni della Germania, scongiurando il rischio di sanzioni, ma ancora il gasdotto non è ultimato. Qualora lo fosse i problemi di scarsità si ridurrebbero. Resta in ogni caso da capire quanto la situazione nei Paesi del Nord Africa (Libia e Algeria) da cui arriva parte del gas che l’Italia utilizza sia effettivamente stabile.



Se problema non è nella domanda, ma nell’offerta, la risposta comune europea che si sta cercando al problema del gas rischia di essere limitata?

Direi di sì. C’è da sperare che i Paesi europei riescano in ogni caso a fare in modo che il gas non venga a mancare durante l’inverno, che è il momento dell’anno in cui indubbiamente il consumo è più elevato e più necessario a tutti i cittadini.

Tra i vari Paesi europei la Germania è tra quelli dove l’inflazione è più alta della media, supera il 4%. Questo, considerando quanto i tedeschi siano storicamente sensibili al tema inflazione, può essere un problema vista anche la situazione politica incerta a Berlino?

Sì, perché i liberali di FDP al momento appaiono indispensabili per creare una maggioranza che lasci fuori la CDU/CSU e dal punto di vista della politica economica sono molto tradizionalisti, quindi detestano l’inflazione. Premerebbero per una politica molto più dura per controllarla, il che si tradurrebbe anche in una spinta per aumentare i tassi di interesse. Questo potrebbe essere un problema per l’Italia, perché inciderebbe sul costo del servizio del debito. Inoltre, potrebbero esserci ripercussioni negative per i detentori dei nostri titoli di stato.

Perché?

Perché se al momento il rendimento dei nostri titoli decennali si attesta intorno all’1-1,5%, ma nelle nuove emissioni si arrivasse a fissare un tasso vicino al 2%, allora i titoli vecchi perderebbero valore e questo rappresenterebbe una perdita per i risparmiatori. Oltretutto se decidessero di tenere i titoli fino a scadenza incasserebbero degli interessi erosi in parte dall’inflazione più alta.

C’è qualche altro pericolo derivante da un aumento dell’inflazione?

Il riflesso che avrebbe sugli investimenti e sulla produzione potrebbe far sfumare l’idea di una forte ripresa economica. Forse passerà la pandemia, ma questa dinamica inflattiva è appena arrivata e non c’è un vaccino, non ci sono vere e proprie contromisure che possano evitare l’aumento dell’inflazione senza riflessi negativi sulla crescita. Se poi arrivasse la stagflazione, porvi rimedio non sarebbe semplice e potrebbe volerci diverso tempo.

Nel caso il rialzo dell’inflazione proseguisse, l’Europa pagherebbe un conto più alto rispetto agli Stati Uniti?

Non è detto, perché è vero che in Europa abbiamo debiti pubblici elevati, ma anche negli Usa l’indebitamento è parecchio aumentato nell’ultimo periodo e i piani di Biden darebbero ulteriore spinta in tale direzione. È vero anche che abbiamo meno materie prime, ma al di là di questo il problema per gli Usa è che un dollaro che perdesse di valore non potrebbe più essere la moneta guida del mondo. E a quel punto verrebbe rafforzata la linea cinese di creare una valuta artificiale internazionale frutto di un paniere tra diverse valute ufficiali, in primis dollaro e yuan. Ovvio che gli americani non vogliano vedere intaccato lo status del dollaro.

E come vede la Cina in questo frangente?

Non appare in buone condizioni e non si capisce il perché di questa crisi immobiliare visti gli interventi di salvataggio fatti in passato. Un mistero è anche la vicenda dei blackout produttivi considerando che in Cina hanno anche il carbone. Di certo la situazione fa temere i grandi distributori americani in vista del Natale, dato che potrebbero mancare i componenti per i giocattoli.

(Lorenzo Torrisi)