L’incremento dei prezzi delle materie prime e dell’elettricità è da tempo tema per qualche commento sull’inflazione o il rincaro della bolletta elettrica piuttosto che del pieno per la macchina. È certamente un aspetto centrale della questione a cui bisogna aggiungere quello non meno importante delle imprese.
Il problema in questo caso è più complesso; non è sempre possibile scaricare sui consumatori l’incremento dei costi delle materie prime soprattutto in una fase economica ancora fragile; è difficile programmare produzione e vendite in uno scenario di prezzi “record” e infine c’è una questione di competitività del sistema industriale se altri Paesi in un’economia aperta possono godere di costi sensibilmente più bassi o possono introdurre regole che in occidente non sarebbero possibili.
Il tema della competitività del sistema industriale e dei costi dell’energia e delle materie prime non è nuovo, ma è sempre stato possibile affrontarlo grazie alla bravura degli imprenditori in termini di efficienza e innovazione del prodotto. Il discorso, però, vale entro certi limiti e comunque presuppone un’ampia disponibilità di materie prime ed energia. Lo scenario attuale è diverso.
Appena due giorni fa un articolo della CNN descriva la situazione di diverse province cinesi alle prese con una mancanza di energia causata dalle basse precipitazioni, da una domanda crescente e dai limiti sull’uso del carbone. La “soluzione” del Governo è stata quella di razionare il consumo di energia elettrica obbligando le imprese a sospendere la produzione per alcuni giorni a settimana. Essendo poi il prezzo dell’energia elettrica regolato dal Governo, le utility non producono quando il prezzo del combustibile, per esempio il carbone, è troppo alto. Questa soluzione può funzionare in Cina sia per il suo sistema di governo, sia perché il Paese ha un mercato interno potenzialmente smisurato e costi di produzione bassissimi. Difficilmente questo sistema può essere riprodotto fuori dalla Cina con alcune produzioni che in Europa o in Italia, per esempio, semplicemente sono impossibili a causa del costo del lavoro e delle regole ambientali in un sistema che comunque si basa sui mercati globali aperti e catene di fornitura funzionanti.
In Europa il governo non potrebbe imporre per legge un prezzo dell’energia e poi agire obbligando le imprese a chiudere per limitare la domanda. Il sistema non è fatto per resistere a questo tipo di stress perché le imprese per poter controbilanciare gli alti costi di produzione e i costi imposti dalle regole hanno bisogno di tutta la flessibilità e l’autonomia possibili. I prezzi delle materie prime e dell’energia quindi salgono e questo significa mettere fuori competizione le imprese nello scenario globale anche assumendo che abbiano l’efficienza estrema del sistema industriale “italo-tedesco”. L’Europa ha fatto della competitività delle sue imprese e delle esportazioni la base del suo modello economico avendo un mercato interno che comunque sarà sempre meno oliato, pensiamo banalmente alle differenze di lingua, regole e preferenze tra i diversi Paesi membri, di quelli dei competitor.
L’unica soluzione sarebbe imporre sui consumatori un qualche tipo di razionamento per salvare le imprese, ma avrebbe un respiro cortissimo sia perché i consumatori comprerebbero di meno, sia perché aumenterebbe la dipendenza dalle esportazioni. Questa riflessione ovviamente presuppone che il ritmo della transizione energetica e delle regole sia lo stesso ovunque.
Il tema delle materie prime che ha al cuore quello energetico si sta rapidamente spostando dai consumatori alle imprese e a ricordarcelo è quanto succede nella “fabbrica del mondo” e cioè la Cina. Il problema delle imprese si riflette poi sull’occupazione, sulle tasse e così via. La domanda è sempre quanto i consumatori siano disposti, man mano che lo comprendono, a mutare il proprio stile di vita per la “transizione energetica”. La disponibilità di energia programmabile a basso costo, materie prime sempre disponibili a costi accettabili non ci hanno regalato solo un “inutile consumismo” ma anche quelle efficienze e quella produttività che garantiscono beni economicamente accessibili e la sopravvivenza di settori che “non producono niente” a partire, per esempio, dalla sanità. Questo è tanto più vero per regioni con poco spazio, poche materie prime e risorse di base come l’Europa e ancora di più l’Italia.
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