Il prezzo della benzina in Italia è salito ai massimi da ottobre proprio alla vigilia dei mesi dell’anno con il traffico più intenso. I prezzi del petrolio intanto si avvicinano ai massimi dell’autunno 2022 a circa 90 dollari al barile. La prima crisi energetica europea, nell’autunno del 2022, dopo l’invasione della Russia in Ucraina, è stata una crisi del gas e in misura molto minore del petrolio. Tra la primavera del 2021 e i picchi dell’estate del 2022 il prezzo del gas si è moltiplicato per quindici mentre quello del petrolio è salito “solo” del doppio e poi è ritornato su valori equiparabili a quelli precedenti all’invasione; il calo del petrolio dai massimi dell’estate 2022, 120 dollari al barile, è arrivato anche con il contributo decisivo dell’Amministrazione americana che ha scaricato sul mercato 180 milioni di barili di riserve strategiche.
La crisi in Medio Oriente e la guerra in Russia finora non hanno avuto impatti particolarmente significativi sul prezzo del petrolio che è passato da 65 dollari al barile circa antecedenti la guerra, escluso il periodo del Covid, ai 90 attuali. “In mezzo” occorre fare una precisazione importante ma trascurata. Il potere d’acquisto di un barile di petrolio non è lo stesso di tre o cinque anni fa perché l’inflazione cumulata è ampiamente in doppia cifra. Un barile di petrolio compra meno acciaio, meno grano, meno macchine e macchinari di quanto non facesse tre anni fa; tutte questo voci hanno subito rincari notevoli. In termini “reali” il petrolio è rimasto fermo nonostante uno scenario geopolitico potenzialmente molto complicato.
I problemi delle infrastrutture energetiche russe messe in crisi dagli attacchi dei droni ucraini possono giocare un ruolo; la Russia può sostituire l’esportazione di prodotti raffinati, colpiti dagli attacchi alle raffinerie, con petrolio solo in parte perché parte dei Paesi di sbocco non hanno capacità di raffinazione. Il problema è noto e il Financial Times due settimane fa dava conto delle pressioni americane per fermare gli attacchi ucraini. Il Medio Oriente rimane un teatro caldo, ma finora non si segnalano attacchi a infrastrutture energetiche. Il problema in questo caso potrebbe essere diverso. Se la politica fiscale e monetaria americana rimane questa con il debito pubblico di Washington che sale di mille miliardi a trimestre prima o poi si porrà il problema del “potere d’acquisto” del petrolio. La svalutazione del dollaro che ha un suo riflesso nell’inflazione implica minore entrate “reali” per i Paesi produttori che potrebbero pretendere un aggiustamento all’inflazione cumulata. Il mercato si pone da mesi questo problema spingendo le quotazioni dei Bitcoin e dell’oro ai massimi.
C’è poi la “domanda” di idrocarburi. L’economia americana per ora continua ad andare bene; decisamente peggio quella cinese. Se il tema però è il sostegno all’economia con politiche monetarie e fiscali espansive allora si torna al punto precedente e cioè all’inevitabile richiesta di aggiustamento che prima o poi i Paesi produttori presenteranno. È lo stesso tema delle rinegoziazioni salariali in America o in Europa. Dato che, a parità di stipendio, si possono comprare meno cose, allora occorre adeguare i salari.
L’altro tema è il rapporto tra Stati Uniti ed Europa. Gli Stati Uniti sono ormai il maggiore produttore di petrolio al mondo ed esportano circa 4 milioni di barili al giorno; l’Europa è in una situazione diametralmente opposta. La decisione americana di scaricare sul mercato 180 milioni di barili nell’estate 2022 è stata più utile all’Europa che agli Stati Uniti e ha ottenuto obiettivi strategici. Le vendite hanno messo l’Europa nelle condizioni di resistere meglio, anche politicamente, alla crisi energetica e hanno contribuito alla sua coesione in una fase in cui gli Stati europei, sicuramente sul gas, pensavano più a se stessi che all'”Unione”. Non è chiaro se questo approccio valga ancora soprattutto se tra sei mesi dovesse cambiare l’inquilino della Casa Bianca.
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