La situazione politica in Calabria è tragica ma non è seria. Si possono ben utilizzare le parole del compianto Ennio Flaviano per descrivere quanto sta avvenendo. L’ordinanza notturna diffusa mercoledì sera dal presidente della Regione, Jole Santelli, ha provocato una bufera. La possibilità di riaprire dal giorno dopo bar e ristoranti ha colto tutti di sorpresa, suscitando prima clamore e incredulità presto soppiantate da scetticismo e ilarità ma soprattutto una bufera politico/istituzionale.
Così il presidente della Regione Calabria è stato preso tra due fuochi. Il ministro agli affari regionali, Francesco Boccia e poi lo stesso Giuseppe Conte si sono affrettati a contestare apertamente l’ordinanza, la sua (presunta) illegittimità e a minacciare diffide, ricorsi al Tar e altri provvedimenti. Ma anche i sindaci di quasi tutti i Comuni calabresi hanno emanato o preannunciato provvedimenti comunali di non applicazione nel loro territorio dell’ordinanza regionale e di far riferimento esclusivo – almeno in questo caso – alla normativa nazionale. Tra i sindaci, compresi tanti del centrodestra, ossia lo stesso schieramento politico di Santelli, alcuni sono stati mossi da giuste preoccupazioni per l’applicabilità della riapertura con un così breve preavviso e con limitazioni piuttosto cogenti (solo tavoli fuori, distanze tra gli avventori, obbligo di misurare la temperatura corporea ai clienti, ecc.) altri sono stati animati da motivazioni politiche, chi di schieramento avverso chi per fuoco amico, magari derivante da precedenti contrasti recenti con la presidenza della Regione, in particolare sulla gestione della sanità sul territorio.
A nessuno potevano sfuggire però altri due elementi. La Santelli, fino a poche ore prima, aveva fortemente contestato l’ultimo Dpcm di Conte che consentirà, dal 4 maggio, il rientro più o meno di massa, da nord a sud di lavoratori e studenti residenti in Calabria. Era questa una contestazione coerente con quanto sostenuto dal presidente della Calabria fin dal primo “maxi esodo” con i treni e gli autobus presi d’assalto dopo l’annuncio e nelle more dell’applicazione dell’istituzione delle zone rosse in Lombardia. La forzatura della Santelli è, inoltre, avvenuta in concomitanza dell’iniziativa leghista di presidio delle aule parlamentari contro l’eccessivo ricorso ai decreti da parte del Presidente del Consiglio.
Si tratta di una sponda di Santelli a Matteo Salvini? Può darsi. Certo la vicepresidenza della Giunta regionale affidata, proprio su indicazione di Salvini, insieme alla delega alle attività commerciali al leghista scelto fuori dal poker di eletti in Consiglio Regionale, Nino Spirlì lascia sospettare che un filo rosso tra Santelli e Salvini c’è. Ma potrebbe esserci dell’altro: almeno la metà dei quattro consiglieri regionali della Lega facenti parte del gruppo regionale, per niente soddisfatti dalla scelta Spirlì, potrebbero essere sul punto di abbandonare il Carroccio. I prossimi giorni ci diranno se la scelta di Santelli è quella di rafforzare realmente il suo vice Spirlì o quella di dare corda alla Lega per poi indebolirla, facendo sponda un po’ sull’ala salviniana un po’ sulla fronda interna, nel più classico dei divide et impera.
La forzatura del presidente della Regione non è stata però certamente gradita dagli operatori economici del settore, prima affrettatesi a studiare come ed in che tempi riaprire e con quali condizioni e subito dopo gelati dalla levata di scudi del governo, della maggioranza dei sindaci e anche dall’opinione pubblica con la gente che si sente trattata da burattino in un gioco tra poteri.