Con il nuovo Dpcm annunciato dal Presidente Conte nella conferenza stampa di domenica 20 aprile si apre formalmente la fase 2 delle misure adottate dal Governo per contrastare la diffusione dei contagi, quella dedicata alla graduale ripresa delle attività produttive, e che sarà completata dall’emanazione di un nuovo decreto finalizzato a rafforzare le misure di sostegno per le imprese e per i redditi dei lavoratori, previsto per la fine di aprile.
Le autorizzazioni a riaprire le attività vengono scadenzate su tre fasi: dal 4 maggio per i comparti dell’industria manifatturiera, per i cantieri delle costruzioni e del commercio all’ingrosso funzionale a garantire le forniture a queste attività; differita al 18 maggio per il commercio al dettaglio e per le attività museali; al 1 di giugno per i ristoranti, i bar e le attività dedicate all’intrattenimento. In tutti i casi le riprese delle attività rimangono condizionate all’assunzione delle misure precauzionali di distanziamento, sanificazione ambientale e utilizzo dei mezzi per la protezione delle persone. Il Governo, e le istituzioni regionali e locali, effettueranno le attività di monitoraggio riservandosi la possibilità di ripristinare il blocco della ripresa della produzione e dei servizi per fronteggiare nuovi focolai di contagio locali.
Come impatterà la fase 2 sulla ripresa della produzione e della occupazione? Secondo le prime rilevazioni dell’Istat, le misure di distanziamento in corso hanno comportato una chiusura di circa la metà delle imprese, e una riduzione del 34% della produzione. All’opposto, per un numero significativo di comparti, e non solo per quello sanitario, si è verificato un significativo incremento della produzione e dei servizi: per cifre che oscillano dal 20% per le produzioni agricole e per la distribuzione di beni alimentari ed essenziali, sino al picco del 40% registrato per i comparti dei servizi di informatica e di telecomunicazione.
L’impatto sull’occupazione è stato contenuto per la gran parte dalle misure di sostegno al reddito che hanno sinora coinvolto più di undici milioni di lavoratori, tra i quali 3,5 milioni di autonomi e professionisti. Una cifra destinata a crescere nel breve periodo con l’approvazione di ulteriori domande in corso.
Un grande contributo a evitare un’ulteriore compressione delle attività è stato offerto dall’adozione dello smart working, il lavoro svolto dall’abitazione con l’ausilio delle tecnologie informatiche, che secondo alcune stime è stato adottato, oltre che nella Pubblica amministrazione, dal 72% delle medie grandi aziende per un numero quadruplo rispetto ai 500 mila utilizzatori precedente la crisi.
Le nuove misure, secondo le parti sociali, dovrebbero comportare la rimessa in attività di ulteriori 2,6 milioni di lavoratori, ammesso che per alcune imprese sussistano le condizioni per ripartire concretamente in relazione alle conseguenze del calo della domanda, che investe in modo differenziato le produzioni. Le misure di sicurezza comporteranno però un utilizzo parziale del personale con un conseguente utilizzo delle casse integrazioni finalizzato a compensare le prestazioni lavorative ridotte dei lavoratori coinvolti
Per alcuni settori, in particolare quelli legati all’accoglienza e all’intrattenimento, non basterà l’autorizzazione formale per la ripresa dell’attività per avere la realistica possibilità di riattivare i servizi. Per le associazioni dei datori di lavoro del turismo, il settore è destinato a subire una contrazione superiore al 70% del fatturato rispetto all’anno precedente, equivalente a 40 miliardi di euro, con la perdita di oltre 50 milioni di turisti stranieri, il blocco delle assunzioni dei lavoratori stagionali e una potenziale riduzione di almeno 600 mila occupati.
Nei comparti del lavoro autonomo, le associazioni di categoria degli esercenti e dell’artigianato esprimono il timore che un terzo delle attività imprenditoriali, già in difficoltà nella fase precedente al coronavirus, siano costrette a chiudere i battenti.
Alla luce di tutto questo, le previsioni sull’andamento dell’occupazione contenute nel Def recentemente approvato dal Governo, con una crescita della disoccupazione all’11,6%, un 2% superiore equivalente a circa 400 mila nuove persone in cerca di lavoro, rischia di essere ottimistica. Anche considerando l’effetto di contenimento collegato all’utilizzo prolungato delle casse integrazioni.
Molto dipenderà dall’efficacia delle misure che sono state già adottate dal Governo, e di quelle ulteriori in corso di definizione, rivolte a sostenere le imprese e l’occupazione. Queste misure presentano delle criticità che vanno oltre la stessa quantità delle risorse mobilitate. Alcune sono già state evidenziate dalle associazioni imprenditoriali riguardo l’eccessiva complessità delle misure o le incertezze per l’accesso al credito formalmente garantito dallo Stato ma comunque subordinato alle verifiche delle banche.
Ma una volta risolti questi problemi rimane comunque il fatto che queste misure comporteranno un fortissimo aumento dell’indebitamento delle aziende a fronte di una mancanza di ricavi. Il che pone seri interrogativi sull’efficacia delle stesse misure adottate. Infatti, non sono pochi gli esperti che invitano il Governo a intervenire con contributi alle imprese a fondo perduto proporzionati alla reale perdita del valore aggiunto. Una soluzione che favorirebbe anche una migliore distribuzione delle risorse proporzionandola al danno effettivamente subito dalle imprese che, come evidenziato precedentemente, risulta essere molto diverso tra aziende e settori di attività.
Sul versante dei sostegni al reddito, considerando anche gli ulteriori interventi che il Governo si accinge a varare, le risorse pubbliche impegnate, circa 35 miliardi, superano già quelle complessivamente erogate nel corso degli anni della precedente crisi economica negli anni che vanno dal 2009 al 2014. Interventi certamente necessari, ma che diventano insostenibili nel medio periodo. Soprattutto se prende corpo l’intenzione di destinare queste risorse anche per l’allargamento dei confini dell’attuale reddito di cittadinanza che ha già palesato la sua inconsistenza per il fine di reinserire al lavoro i beneficiari.