“Perder tempo a chi più sa più spiace”. Con queste parole Virgilio, mentre con Dante sta iniziando la salita al Purgatorio, spiega l’urgenza che ha di conoscere la strada per arrivare in cima alla montagna. Per chi è consapevole di un compito o di uno scopo da raggiungere (per chi appunto “più sa”!) perdere tempo è spiacevole.

Ho imparato dall’esperienza che uno dei modi più facili per perdere tempo davanti agli obbiettivi da raggiungere è non utilizzare le risorse che si hanno a disposizione. Tergiversare, lamentarsi, dare la colpa agli altri, litigare, cedere alla reattività istintiva, non guardare tutti i fattori del reale, fingere di non sapere ciò che invece si sa: così ci difendiamo dai problemi evitando di affrontarli. Mentre  la vita è un emergere continuo di problemi che chiedono di essere affrontati e tentativamente risolti.

Mi ha sempre affascinato la storia dell’Apollo 13, la missione spaziale americana che nel 1970, a seguito di una esplosione nel modulo di servizio, non riuscì a sbarcare sulla Luna, ma riuscì  a riportare a casa vivi i tre astronauti. “Huston we have a problem!”. Tutto cominciò da lì,  dall’accorgersi di un problema! Fu chiaro che bisognava “farcela”, anche se tutto, dall’acqua all’ossigeno, stava venendo meno. Coraggio, determinazione, preparazione, flessibilità, degli astronauti e della squadra di Huston, tutto contribuì alla riuscita. E quando divenne necessario costruire un adattatore dei filtri dell’anidride carbonica, fu il momento in cui scattò l’intuizione “risorse”.  Nella base di Huston gli ingegneri della Nasa chiusi in una stanza si cimentarono a trovare la soluzione solo con gli oggetti che gli astronauti avrebbero potuto utilizzare a bordo. Le uniche risorse disponibili. L’adattatore fu “inventato”, utilizzando  anche un calzino, del nastro isolante e pezzi di plastica strappati dalle copertine dei manuali di bordo! Aveva una forma così insolita che gli astronauti lo chiamarono “cassetta della posta”, bruttino ma adeguato a risolvere il problema.

Di fronte alla pressione della vita, se si è leali e aperti,  ci si accorge con evidenza delle risorse a disposizione. Perché le risorse non sono quello che ci piacerebbe avere per risolvere i problemi, ma sono ciò che la realtà ci dà istante per istante e con cui dobbiamo “cavarcela”.

In questi giorni, in cui ancora domina il caos sulla riapertura delle scuole, il tema risorse è terribilmente attuale!  Tanto manca (spazi, trasporti, docenti), ma anche tanto c’è! Risorse esistenti che potremmo, anche in questa circostanza, valorizzare e utilizzare.  Dal legno per i banchi, di cui il nostro territorio dispone in abbondanza, alla voglia che anche gli studenti hanno di tornare a imparare. Ma intanto compriamo la plastica all’estero e criminalizziamo i ragazzi che sarebbero solo fragili e labili (qualcuno li ha definiti Generazione farfalla).                                                             

C’è una fondamentale risorsa radicata nella coscienza e nella storia del nostro popolo. È la capacità di ripartire  (“quelli che ripartono” recitava anche un ciclo di incontri del Meeting di Rimini appena concluso), la capacità di trovare soluzioni, di mettersi insieme, di valorizzare i tentativi positivi da qualunque parte provengano, di mediare e di accordarsi. Come quando fu scritta la Costituzione o quando l’Italia nel dopoguerra è rinata, quando negli anni 50 a Rimini (e non solo) le famiglie si sono inventate l’industria turistica dormendo d’estate nei garage e affittando le proprie abitazioni, quando nei mesi del lockdown tanti si sono rimboccati le maniche per aiutare a far andare avanti ospedali, scuole, distribuzione di generi alimentari.

Viene da pensare che se anche oggi, tra chi deve far ripartire le scuole, dominasse questa positiva voglia di risolvere i problemi, e non solo di contrapporsi (per ragioni, diciamolo, che con il bene degli studenti hanno veramente poco a che fare, ragioni che guardano più al 20 settembre, giorno delle elezioni,  che al 14, giorno in cui le scuole riapriranno) forse si arriverebbe a individuare le soluzioni prima, con meno spreco di tempo, di danaro e di invettive,  con più saggezza e realismo.

Viene in mente quella “diligenza del buon padre di famiglia”, che la nostra legislazione spesso richiama, che è tanto indeterminata nel contenuto, quanto evidente nella sostanza. La diligenza è la passione di chi sa che i problemi vanno risolti, le classi vanno formate, gli studenti vanno tras-portati a scuola, i contagi vanno evitati, il buon livello della didattica va garantito. E che le soluzioni a tutto questo vanno trovate. Questo gusto della costruzione, questa positività nell’affronto delle cose,  è umanamente vincente. Perché risponde alla natura dell’uomo e quindi contribuisce a mettere insieme gli uomini.

Intervenendo recentemente al Meeting di Rimini , don Julian Carron, riprendendo una affermazione di Pavese  “qualcuno ci ha promesso qualcosa? e allora perché attendiamo?”, aggiungeva: “l’attesa e la speranza fanno parte della nostra essenza di uomini. Aspettiamo, speriamo, attendiamo, perché questo è costitutivo del nostro stare nella realtà”.  E chi attende con speranza, riparte e costruisce, accettando di farlo “insieme”.