Nonostante alcuni casi sparsi nel paese, la Cina si può definire il primo paese al mondo “Covid free”. In quella che è stata l’epicentro e la nascita del virus, Wuhan, undici milioni di abitanti, dal 18 maggio non si segnalano più casi di coronavirus. Ecco perché in questi giorni stanno riaprendo tutte le scuole, il che significa milioni di bambini e ragazzi che tornano in classe. Certo, alcune misure di sicurezza permangono, ma la mascherina ad esempio non è obbligatoria in classe, viene sconsigliato l’uso dei mezzi pubblici, sono disponibili in tutte le scuole attrezzature per il controllo dei sintomi, si fanno esercitazioni per prepararsi allo scoppio di nuovi focolai, si limitano le riunioni di massa. “Tutto questo – dice Francesco Sisci, giornalista, sinologo, editorialista di Asia Times – è stato reso possibile dall’applicazione di un controllo di massa, che rappresenta il bene e il male della situazione. Ogni persona, qualunque cosa faccia, viene controllata e se ha sintomi febbrili parte il tracciamento di ogni sua attività e di tutte le persone che ha incontrato. In questo modo il governo sa vita e morte di tale persona. Tutte misure che in Italia sarebbe impossibile prendere. Da noi si  preferisce ammalarsi di Covid piuttosto che perdere la propria privacy. La soluzione è trovare una via di mezzo”.



In quale contesto epidemico stanno riaprendo le scuole in Cina?

Attualmente in Cina da circa tre settimane si registrano alcuni casi di infezione. Ma la ripresa della scuola sta avvenendo in maniera normale. Alcuni, ma non tutti, indossano la mascherina e nelle mense ci sono self service che servono pasti incellophanati, però la situazione è normale.



Come si può spiegare tanta normalità? In Italia la riapertura delle scuole preoccupa molto.

È il bello e il brutto del controllo sistematico. Il Covid ha accelerato enormemente il controllo elettronico di massa. Entri in un negozio, scendi dall’aereo e devi usare il telefonino con il bar code, così come in treno, o entri in un ristorante e devi essere scannerizzato. In questo modo in caso di febbre sei immediatamente tracciato e isolato e si risale a tutti quelli con cui si è venuti in contatto.

Questo non significa controllo di massa?

In questo modo la Cina è oggi il primo paese Covid free. Anche perché è riuscita a imporre questo controllo di massa e tutti coloro che entrano in Cina devono fare 14 giorni di quarantena, a meno che non siano diplomatici. Questo preoccupa perché si teme qualche nuova infezione importata dall’esterno. Il sistema però funziona, una specie di miracolo in un paese così popoloso.



Sì, ma la privacy?

Non c’è privacy, il governo è in grado di sapere tutto. Nel momento in cui decide di sapere qualcosa, sa vita, morte e miracoli della persona infetta.

Non è una limitazione delle libertà personali?

No. Quello che abbiamo oggi è che la Cina è riuscita a liberarsi dal Covid, un grande successo, sacrificando la privacy della gente. Le stesse misure sarebbero impossibili da noi, dove la gente preferisce rischiare di prendersi il Covid che perdere la privacy. I cinesi invece hanno accettato la perdita della privacy.

In Italia assistiamo a una divisione totale sulle misure da prendere.

Che l’Italia possa adottare misure cinesi sarebbe uno snaturamento della democrazia. D’altra parte sarebbe folle dire che il virus non esista. Tra queste due posizioni è difficile trovare un equilibrio.

Cosa suggerisce?

La vera funzione del governo non è avere una formula magica o un algoritmo, ma parlare e spiegare con serenità e chiarezza la posta in gioco. Angela Merkel è riuscita a parlare e a spiegare la situazione, anche se non è che ha il 100% del paese dietro di lei. La protesta di Berlino che abbiamo visto da parte dei negazionisti è anche frutto del suo successo nella battaglia al Covid. Il Covid non ha colpito la Germania in maniera così forte come altrove. I qualunquisti dicono che il virus non esiste, ma perché è stata brava la Merkel a gestire la pandemia anche a livello di comunicazione.

Proteste politiche, dunque?

Le proteste anti-Covid arrivano nove mesi dopo lo scoppio del coronavirus, questo la dice tutta. Quello che il nostro governo dovrebbe fare è comunicare con chiarezza le difficoltà e cercare di trovare una linea mediana tra il controllo della malattia senza pesanti e pervasive ripercussioni sulla privacy.

Un cambiamento educativo della politica?

Un governo dovrebbe essere anche un pedagogo. Il vero pedagogo è quello che insegna, ma anche apprende dagli allievi e parla con chiarezza e serenità. Se c’è questo, tutto funziona; se si parla in maniera confusa e nervosa, tutto naturalmente salta.

(Paolo Vites)

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