Il tanto temuto effetto riaperture post 26 aprile, come dicono i dati dell’Iss, non c’è stato: catastrofisti e chiusuristi smentiti in blocco? Non è esattamente così, come ci ha spiegato il professor Sergio Babudieri, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Sassari, “perché anche se i dati ci dicono di un calo deciso dei contagi e dei ricoveri in terapia intensiva, ci vuole ugualmente una prova collettiva di responsabilità. D’ora in poi chi si ammalerà di Covid sarà perché non si è voluto vaccinare o non ha rispettato le regole di sicurezza, che comunque devono essere sempre seguite”.



Cosa dicono i dati? Rt in calo dallo 0,86 allo 0,78, incidenza nazionale di 73 casi settimanali ogni 100mila abitanti, contagi in discesa del 30%. Con questi numeri, secondo il Cnr, da qui al 21 giugno tutta l’Italia potrà essere zona bianca con le riaperture totali.

Grande ottimismo, guardando i dati dell’Istituto superiore di sanità, l’Italia è pronta per diventare zona bianca. Eppure proprio la Sardegna era stata la prima regione a diventare zona bianca per poi crollare nel giro di pochissimo tempo a zona rossa. Siamo sicuri che non si ripeterà tutto ciò?



Bisognerebbe analizzare bene i dati per capire cosa è successo in Sardegna, fuori regione è difficile capire. La zona bianca ha prodotto oltre 170 focolai nella regione. La Sardegna ha pochi centri chiamati città, cioè con almeno 100mila abitanti, solo Cagliari ne fa 600mila. Abbiamo invece piccoli centri e tantissimi paesi. Il problema è nato nei paesi, non nelle città: qui a Sassari, ad esempio, non ha prodotto nulla. Di oltre 200 persone ricoverate dopo il 21 marzo, durante la terza ondata, in conseguenza della zona bianca, i pazienti di Sassari città erano uno o due.

Quindi non è stata una ondata che ha colpito tutta la regione?



No, infatti la chiusura in zona rossa per una città come Sassari è stata una punizione severa. Sono molto d’accordo con l’idea di modulare in futuro le riaperture sui dati locali. Credo che sindaco per sindaco si debba decidere cosa fare. Qui sono state chiuse tutte le attività, ma in realtà non ce n’era bisogno.

Vuol dire che dati di oggi alla mano, le restrizioni non hanno più senso? I cosiddetti catastrofisti avevano torto?

Non si tratta di un improvviso ottimismo, ma di un sano realismo. Da oggi con la campagna di vaccinazione in atto, con 14 mesi di educazione sanitaria fatta con le chiusure, la gente che non si vaccina e non mantiene le regole di sicurezza minime è colpevole del Covid.

Lei infatti ha richiamato a una prova collettiva di responsabilità, vuol dire che l’attenzione va sempre tenuta alta.

Quando parlo di responsabilità collettiva, non faccio un appello generico. Dico però che chi si prenderà il Covid d’ora in poi sarà solo per sua responsabilità. Non è più accettabile che chi si prende il virus venga ricoverato, perché oltre tutti i morti per Covid abbiamo contato i morti a causa del Covid.

Cosa intende?

Penso a tutte le persone che non hanno trovato posto in ospedale per le terapie, gli interventi urgenti, le broncoscopie, che sono morte o che hanno visto porsi i presupposti per morire perché non hanno potuto curarsi. Chi si prende il Covid d’ora in poi non deve avere più l’autostrada spianata. Stiamo lavorando per delocalizzare i reparti Covid con pazienti a bassa intensità, non possono più stare nei nostri hub, andranno in ospedali delocalizzati.

In che condizioni si trova chi oggi arriva in terapia intensiva? Sono ancora soprattutto anziani?

No, l’età media è crollata, è scesa a 60 anni e sotto. Di anziani non se ne vedono più. In questo momento di ricoveri non ne abbiamo più, abbiamo solo pazienti individuali, persone che hanno avuto una brutta polmonite e hanno bisogno di un certo periodo di ricovero anche abbastanza lungo.

I vaccini stanno progressivamente salvando dal rischio malattia i pazienti più fragili?

Certo, basti pensare che all’inizio si infettavano moltissimi colleghi, oggi non c’è più un caso di un medico o di un infermiere colpito. La lezione della Gran Bretagna ci ha insegnato che le cose si possono fare, con la prima dose chi si infetta oggi arriva a starnutire. La prima cura della pandemia è il vaccino, la seconda dose deve impedire che uno si prenda il virus anche solo in forma lieve.

(Paolo Vites)

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