Un arco teso al massimo della sua estensione: basta poco per scoccare la freccia della ripresa, così come per spezzare la corda, trasformando una situazione drammatica in tragica. Descrive così l’attuale situazione – umana, economica e sociale – del nostro paese Antonio Intiglietta, che non capisce come sia possibile assistere oggi al dibattito, mal posto, sul decreto riaperture tutto incentrato sul dilemma: coprifuoco alle 22 o alle 23? In quest’anno di pandemia Intiglietta – organizzatore di fiere, ristoratore e imprenditore agricolo – non è rimasto fermo, anzi ha voluto investire e scommettere sul futuro, “perciò mi auguro che chi responsabilmente rischia, sia premiato. Il punto focale è proprio questo: sostenere la responsabilità e colpire l’irresponsabilità”.



Perché le polemiche di questi giorni tra il governo e Salvini su un’ora in più o in meno di coprifuoco non la appassionano?

Vorrei prima fare una premessa.

Prego.

Parto da una immensa gratitudine per il servizio che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sta rendendo al paese e all’Europa intera. In tempi non sospetti sostenevo la necessità assoluta di avere un governo autorevole che aiutasse il paese, in un’unità sostanziale, a uscire da questa drammatica situazione di emergenza. E aggiungo: se avessimo fatto questo prima, non saremmo nella condizione di oggi.



Esaurita la doverosa premessa, dove sta il punto?

Il dibattito sul decreto riaperture e le tensioni di cui si parla in questi giorni tra governo e Lega, così come viene affrontato, è fuorviante e mal posto.

Perché?

Occorre partire da un dato che dobbiamo avere tutti ben presente: la situazione del paese – e lo dico a ragion veduta, visto che ogni giorno sono in contatto con le micro e piccole imprese italiane e internazionali – in termini umani, economici e sociali è come un arco tirato alla sua massima estensione.

E cosa potrebbe succedere?

O la freccia viene scoccata e va verso l’alto, cioè diamo vita a un grande rilancio, innanzitutto umano, e quindi anche economico e sociale, di tutto il paese oppure, se non si sta attenti e se si tira ancora la corda, corriamo il serio rischio di spezzare l’arco.



Se così fosse?

Dal dramma passeremmo alla tragedia.

Dove sta allora il punto di non rottura?

Il tema della ripresa non ha a che fare con la questione di un’ora in più o in meno di coprifuoco o di ristoranti aperti anche di sera ma solo all’aperto. A tal proposito, mi devono spiegare perché un aereo di 400 posti – e lo so per esperienza diretta – puoi trovarlo pieno come un uovo e un ristorante con 50-60 posti spalmati su 350 metri quadri deve essere chiuso.

Vuol mettere il dito nella piaga delle regole confuse con cui è stato gestito quest’anno di pandemia?

Premesso che prima o poi bisognerà anche capire di chi sono le responsabilità in merito al modo in cui si sono o non si sono affrontati i problemi dell’epidemia e le conseguenze che hanno causato, va detto che abbiamo regole assolutamente contraddittorie, che lasciano perplessi e che sono in molte delle loro parti palesemente inattuabili. Ma l’errore vero è un altro.

Dove risiede?

Nel suo presupposto. Draghi ha giustamente sottolineato che dobbiamo aprire con una ragionevole e prudente prospettiva. E sono più che d’accordo. Ma il “rischio ragionato” poggia sulla responsabilità della gente o no? Sulla responsabilità degli operatori economici o no?

Draghi, in effetti, ha richiamato alla responsabilità di ciascuno…

Bene. Ma se il problema è mantenere alcune condizioni essenziali per essere prudenti, esplicitiamole e riapriamo alla vita, alle attività. In questo ufficio nessuno si è ammalato di Covid. E allora, vogliamo rilanciare questa responsabilità alla gente?

Secondo lei, quindi, il nodo decisivo del dibattito dovrebbe essere: possiamo riaprire in modo responsabile? Cominci lei a dare un contributo alla possibile risposta.

O diciamo che la gente non è in grado di esercitare questa responsabilità o diciamo che non vogliamo fare questo perché abbiamo il rischio di comportamenti irresponsabili.

Come è già successo nei mesi scorsi, non crede?

Vero. Ma le sembra sensato che, visto che c’è il rischio che qualche irresponsabile viaggi contromano, si chiuda tutta l’autostrada? E poi: quando si chiude tutto, chi non vuole rimanere chiuso trova il modo migliore per poter fare quello che gli pare nei luoghi privati, che lo Stato non controlla. Come ampiamente sta accadendo.

Come se ne esce allora?

Il problema, se puntiamo sulla responsabilità – delle imprese, dei soggetti sociali, delle scuole, delle parrocchie… –, diventa quello di riaprire tutto dentro una ragionevolezza e una capacità, serietà e intelligenza dei controlli. Invece di premiare i comportamenti responsabili e colpire giustamente, anche in modo pedagogico, gli irresponsabili, si colpiscono tutti indistintamente, così si hanno meno problemi e ci si lava la coscienza. È il massimo della contraddizione, che ci fa perdere di vista il punto focale: che concezione abbiamo del rapporto fra istituzione, potere e società, mondo reale, partendo da una compartecipazione nella costruzione. Ecco perché non si può ridurre questo dibattito a problema di mediazione politica, come se tutto si riducesse a Salvini che sta tirando la corda e tutti gli altri invece stanno tutelando prudentemente il paese. Non solo non cogliamo il tema di fondo, ma non aiutiamo le persone a tendere, tutti insieme, verso una prospettiva di corresponsabilità. Questo paese è pieno di persone serie che stanno facendo di tutto per valorizzare responsabilmente quello che hanno tra le mani.

Draghi ha annunciato la ripresa delle attività fieristiche. In qualità di presidente di Ge.Fi, come intende tradurre, nel concreto, quel richiamo alla responsabilità di cui stiamo parlando?

Noi stiamo rilanciando Artigiano in Fiera, che sarà davvero l’ultima spiaggia per migliaia di micro e piccole imprese artigiane: o rinascono o muoiono. Sono molto grato al presidente Draghi per aver messo finalmente al centro le fiere come asset strategico per la ripresa. E ci stiamo impegnando a fondo per approfondire un protocollo di messa in sicurezza – la più seria e approfondita possibile – della manifestazione, riprendendo le linee guida a suo tempo formulate dal Comitato tecnico-scientifico. Il protocollo, a tutela sia di chi ci lavora sia dei visitatori, sarà attuato e rispettato con la massima attenzione per rendere l’Artigiano in Fiera un evento Covid free. Sarà una fiera più bella, più fruibile, più ospitale. Del resto, chi può avere interesse a mettere in piedi un’iniziativa o un servizio generando un danno agli altri?

Come operatore impegnato nel mondo della ristorazione, si possono davvero riaprire i ristoranti in sicurezza, anche al chiuso?

Ho un ristorante, chiuso da più di un anno, che potrebbe tranquillamente riaprire, a mezzogiorno e la sera, con spazi più che adeguati e sicuri. E non l’ho fatto per il Covid, ma perché è stato pensato dall’inizio come luogo dove non si va a mangiare ammassati. È un locale gradevole e funzionale, che valorizza tutti i prodotti di qualità del Made in Italy. Anzi, vorrei lanciare una sfida.

Che sfida?

Sfido chiunque a venire in questo ristorante e a dirmi che non ci sono le condizioni per poterlo aprire. Vengano anche gli esperti del Cts e mi documentino scientificamente per quale ragione deve restare chiuso.

Ma lei non ha ricevuto i ristori?

Dato che l’Italia non ha risorse sufficienti per offrire ristori adeguati e non offensivi, c’è un paradigma da cambiare. Perché non si applica anche alle micro imprese, e non solo alle medio-grandi, il “modello Sace”, allungando tra l’altro da 6 a 15 anni il tempo per ripagare il credito ottenuto? Perché per un ristorante, anziché dare briciole di sussidi, non si creano le condizioni per aprire una linea di credito pluriennale con la garanzia dello Stato, così che possa prepararsi con serenità alla riapertura?

Lei è anche un imprenditore agricolo. Come si rilancia questa attività, soprattutto al Sud?

Supportando e sostenendo coloro che investono nella riqualificazione del territorio, affiancando un drastico abbattimento, attraverso politiche regionali e nazionali, delle rendite agrarie fini a se stesse e dei latifondisti, che spesso lasciano incolti i campi prendendo i soldi dalla Ue. E dall’altro, incentivando la capacità di investitori che sappiano integrare micro-patrimoni agrari, oggi sperperati, all’interno di progetti di rivalorizzazione agricola e agrituristica. Bisogna ripartire dalla terra, dalla tradizione e dalla cultura di accoglienza di questo paese.

(Marco Biscella) 

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