L’Italia riapre, ma senza né aver raggiunto una buona copertura vaccinale né avere numeri rassicuranti sul contagio. Con meno decessi di quelli registrati ora lo scorso autunno è stato introdotto il coprifuoco e lanciato il sistema dei colori. Peraltro, la situazione è pure peggiore rispetto alla fine della prima ondata. Dietro le riaperture che sta per varare il Governo Draghi c’è, dunque, il pressing della politica? Questa l’ipotesi di Domani, visto che i numeri mostrano che l’epidemia è ancora fuori controllo e il sistema sanitario è vicino al punto critico. Dunque, non siamo nella stessa situazione di un anno fa, quando uscivamo dal primo lockdown. Mentre ora abbiamo una media di 427 decessi al giorno e le terapie intensive sono oltre la soglia critica, con quasi 3.600 ricoverati, nella seconda settimana di maggio 2020, quando sono stati riaperti bar e ristoranti, c’erano 181 decessi al giorno in media e 828 persone in terapia intensiva.



La situazione era migliore anche in autunno, all’inizio della seconda ondata. Nella prima settimana di novembre i decessi medi erano 349 al giorno e i ricoveri in terapia intensiva erano 2.288.

RIAPERTURE? L’ALLARME DEI MEDICI

La differenza importante tra oggi e lo scorso autunno è rappresentata dai principali indicatori del contagio, che erano in rapido peggioramento, mentre ora sono stabili o in lento miglioramento. Dunque, in poche settimane l’epidemia potrebbe diventare più gestibile, ma non è detto che le cose vadano in questa direzione, soprattutto anticipando l’allentamento delle restrizioni. La Francia, che ha allentato le restrizioni lo scorso dicembre, è tornata in lockdown lo scorso 31 marzo. In Germania, dove è stato approvato poche settimane fa un piano di graduali riaperture, la situazione è peggiorata anziché migliorare. Qualcosa di simile è accaduto in Sardegna, che è tornata in zona rossa dopo l’esperienza della zona bianca. Medici e operatori sanitari sono, dunque, preoccupati e guardano con timore alle riaperture.



Chiediamo alla politica di ascoltare le decine e decine di migliaia di colleghi che da tredici mesi lavorano senza tregua nell’emergenza territoriale e negli ospedali”, scrivono i principali sindacati del settore in un comunicato in cui esprimono “perplessità e amarezza” per il dibattito in corso. Quindi, ricordano il “rischio di un prolungamento della pandemia e di una persistente elevata mortalità tra i cittadini non ancora protetti con la vaccinazione”.

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