Riaprire, ma per chi? La domanda – per gli operatori turistici, gli albergatori, i gestori degli stabilimenti e via dicendo – non è peregrina, visto che gli spostamenti tra regione e regione si prevede saranno consentiti solo al raggiungimento di un indice di contagio R0 di 0,2. Cosa vuol dire? Cominciamo da alcune precisazioni. L’indice R0 (erre con zero) è il “parametro di riproduzione di base” ed è la misurazione della trasmissibilità della malattia, indica cioè la media di quante persone un positivo al virus riesca a contagiare. È un indice che rappresenta l’epidemia complessivamente. C’è poi un altro indicatore, l’Rt, cioè il parametro di riproduzione istantaneo, che segnala la trasmissibilità della malattia registrata nelle ultime 24 ore.



Va detto dire che l’R0 è un indicatore “in condizioni normali”, cioè non tiene conto dei provvedimenti presi per contrastare la diffusione della malattia (distanziamento sociale, mascherine, gel disinfettanti). Con l’adozione del lockdown, ovviamente, l’R0 è calato, e sta calando progressivamente, anche se lentamente. La variabile già attualmente e diffusamente inferiore a 1 è l’Rt. Ad esempio, alla data del 29 aprile il Lazio (fonte regionale) registrava un R0 di 2.06 (con un più o meno di 0,09) ma un Rt di 0,79 (con un più o meno di 0,04), e indicava la previsione del raggiungimento di un R0 minore di 1 tra il 30 maggio e il 7 di giugno. Facile immaginare che la soglia R0 dello 0,2 sarebbe ipotizzabile solo molto più avanti. E parliamo del Lazio.



Ora, è stato detto che per gli spostamenti tra regioni bisogna arrivare a un R0 di 0,2, ma l’Istituto superiore di sanità (in collaborazione con la Fondazione Kessler) ha annunciato che pubblicherà settimanalmente sul sito del ministero della Salute il valore Rt (attenzione: l’Rt) regione per regione, anche se la valutazione del rischio comprenderà anche altri indicatori, come la capacità di monitoraggio, l’accertamento diagnostico, l’indagine e gestione dei contatti, la stabilità di trasmissione e la tenuta dei servizi sanitari. I dati Iss all’1 maggio parlavano di un indice di trasmissione Rt sotto 1 in tutta Italia, dallo 0,19 dell’Umbria e dallo 0,35 della Basilicata fino allo 0,75 dell’Emilia Romagna, allo 0,78 della Puglia, allo 0,84 della Basilicata. La Lombardia 0,53 (più o meno come il Veneto), il Piemonte 0,75, la Toscana 0,64.



Dunque, c’è – strano… – un po’ di confusione. Si dovrà aspettare l’R0 o l’Rt a 0,2? Come si è visto, c’è una differenza sostanziale. Se nel primo caso, l’R0, si rischierebbe di arrivare fuori tempo massimo per salvare la stagione turistica estiva, nel secondo le stime sono più ottimistiche, anche se ancora tutte da stabilire.

Ma c’è poi un altro, sostanziale, distinguo. I dati per calcolare sia l’R0 che l’Rt vengono forniti dalle singole Regioni, dove però le misure adottate per il monitoraggio dell’epidemia sono state e sono ben diverse. Il Veneto, ad esempio, ha già raggiunto la quota di circa 250 mila tamponi effettuati (record mondiale in rapporto alla popolazione), per circa 15 mila positività riscontrate. È evidente che se in altre regioni il numero di accertamenti effettuati si discosta anche di molto, il rapporto varierà di conseguenza. “L’R0 viene sovente stimato retrospettivamente in modo empirico, ossia osservando la velocità di crescita del numero totale dei casi giorno dopo giorno”, ha detto Stefania Salmaso, epidemiologa già esperta dell’Iss. E quindi, dato che per calcolare l’R0 viene usata anche la data dell’accertamento virologico dell’infezione, che modifica il “numero dei casi”, è facile intuire quanto l’estensione dei tamponi possa influire sul calcolo dell’indicatore su cui bisogna basare i futuri via libera agli spostamenti interregionali. “Se uno non fa tamponi, non ha contagiati”, ha detto il governatore del Veneto, Luca Zaia.

Manca, insomma, l’omogeneità di dati su cui basare decisioni delicate, che potrebbero influire drasticamente sull’industria del turismo italiano, chiaramente non più in grado di assicurare quel 14% di Pil raggiunto nel corso degli anni.

Con le aperture delle frontiere regionali rinviate a data da stabilire, e l’insostenibilità delle strutture ricettive dislocate nel mezzogiorno o sulle isole, se dovessero fare conto solo su clientele autoctone, si riaffacciano nuove ipotesi. Scartata la quarantena obbligatoria per i forestieri (con 15 giorni di vacanza, chi potrebbe sostenerne altri 15 di isolamento preventivo?), resta sul tavolo l’idea avanzata dal governatore della Sardegna, Christian Solinas: consentire ingressi solo con un passaporto sanitario, da rilasciare nei punti di sbarco (porti o aeroporti) attraverso una diagnostica immediata. Che è poi quello che già certe compagnie aeree hanno messo in atto.

Peccato che l’Oms abbia già avvertito che in realtà non esista ancora “una patente di immunità: un test sicuro non c’è”. In attesa di nuovi ripensamenti cui ci ha abituati l’Organizzazione mondiale della sanità (pandemia no, pandemia sì; mascherine inutili, anzi no), tanto da meritarle una sfilza di denunce, dal presidente Trump fino all’italianissimo Codacons, sembrerebbe che la strada tampone+test sierologico potrebbe comunque offrire un certo grado di sicurezza sanitaria, sia per gli operatori, sia per i clienti. Una sicurezza che – viste le disomogeneità delle premesse – forse anche gli indici Rt non sarebbero in grado di garantire.

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