C’è anche l’ipotesi di riaccendere le centrali a carbone nella strategia governativa per fronteggiare la crisi energetica. Lo ha annunciato Mario Draghi, assieme ad altre misure preventive alla possibile insorgenza di interruzioni di forniture da Mosca. In sostanza la flessibilità energetica richiederebbe: diversificare i fornitori, aumentare la capacità estrattiva nazionale (già approvato nell’ultimo decreto Sostegni, ma ci vorranno tre anni per tornare ai livelli passati), investire in infrastrutture: dalla rigassificazione (attualmente tre siti in Italia) alla capacità di stoccaggio, e soprattutto un’ulteriore maggiore semplificazione delle procedure per l’installazione degli impianti da fonti rinnovabili.
I possibili effetti sulla bolletta nazionale elettrica della guerra in Ucraina sono la mancata copertura della domanda e l’ennesima fiammata di prezzi. Per ora il conflitto ha fatto impennare (oltre il 30%) le quotazioni del gas, ma non sta toccando le forniture che continuano a essere regolari. Addirittura, il gas lungo la rotta ucraina, in ingresso a Tarvisio, ha registrato un raddoppio dei volumi, tornando ai massimi tecnici da dicembre. Però la situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro per effetto di un danneggiamento del gasdotto, o come conseguenza delle sanzioni europee.
L’interruzione delle forniture russe – rappresentano il 45% del gas importato dall’Italia – prima della fine dell’inverno, in contemporanea a un rialzo della domanda, non potrebbe essere fronteggiato dal sistema nazionale. Si dovrebbe ricorrere a delle misure di emergenza, dal razionamento, al taglio della domanda industriale all’uso di fonti diverse dal gas, come appunto il carbone. Questo anche se va mantenuto l’impegno di uscire dalla fonte fossile più inquinante entro il 2030, come recita il Piano nazionale Integrato per l’energia e il clima (Pniec). Senza però progettare nuove centrali visto che in Italia ce ne sono sette a carbone, di cui due già avviate alla riconversione sono state riattivate lo scorso dicembre in prospettiva dell’incertezza geopolitica. Coprono meno del 5% della generazione elettrica, ma non lavorano a massimo regime. E anche superato l’inverno, le proiezioni degli addetti ai lavori indicano che un’interruzione delle forniture russe sarebbe sostenibile solo per una breve fase senza compromettere il riempimento degli stoccaggi in vista del prossimo inverno.
La sicurezza energetica nazionale ne sarebbe pregiudicata, nonostante i piani di forniture alternative promessi dall’America. Il fatto è che la produzione di gas naturale liquefatto, GNL, è difficile da espandere in poco tempo. Al Forum dei produttori di gas tenutosi i giorni scorsi a Doha, il Qatar uno dei principali esportatori di GNL, ha annunciato un incremento della produzione da 77 a 126 milioni di tonnellate anno a partire dal 2027. In più c’è la forte concorrenza della domanda dei Paesi asiatici e le navi gasiere vanno dove le porta il prezzo più alto gas. Rischiamo di pagarlo ancora più caro delle attuali quotazioni alle stelle.
Improbabile invece il pronostico che Mosca chiuda i rubinetti. Sono proprio le forniture di idrocarburi verso l’Europa che stanno finanziando l’offensiva russa. Possiamo scendere in piazza con le bandiere ucraine, manifestare e colorare di giallo e blu i nostri profili social, ma intanto per colpa della nostra imprudente dipendenza da Gazprom stiamo sostenendo l’esercito di Putin.
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