Dacia Maraini, scrittrice italiana molto apprezzata dalla platea di lettori, è intervenuta in queste ore sulle colonne de “La Stampa” per dire la sua sul caso di Pier Paolo Pasolini, ucciso quarantasei anni fa presso l’idroscalo di Ostia e sulla cui morte aleggiano da sempre alcuni interrogativi in attesa di risposta. A tal proposito, l’autrice di numerosi best seller si augura che “la sua morte non resti uno dei mestieri italiani come piazza Fontana o la strage di Bologna. Purtroppo abbiamo una triste tradizione di colpevoli senza mandanti”.



Per quanto concerne la dipartita di Pasolini, l’allora 17enne Pino Pelosi confessò rapidamente di essere l’assassino, ma poi l’uomo, venuto a mancare quattro anni fa, nel 2005 ritrattò le sue dichiarazioni dopo essere stato scarcerato. “Noi amici non abbiamo mai creduto alla versione di Pelosi – ha confessato Maraini –. Quando ha ritrattato, Pelosi non ha detto chi abbia ucciso Pasolini, ma ha ammesso di non essere stato lui e che, soprattutto, quella notte non era da solo. Oggi abbiamo strumenti tecnologici avanzati e si potrebbero ingrandire segni anche molto piccoli o macchie di sangue allora non viste”.



DACIA MARAINI: “PELOSI NON PUÒ AVERE UCCISO PASOLINI”

Dacia Maraini, nell’ambito dell’intervista rilasciata al quotidiano “La Stampa”, ha affermato che, a suo giudizio, Pino Pelosi non può essere il killer di Pier Paolo Pasolini, adducendo alcune motivazioni: “Quando il ragazzo è stato fermato, non aveva addosso nessuna goccia di sangue. Pier Paolo è stato picchiato con un bastone, una spranga di legno. C’è stata una lotta corpo a corpo con il suo assassino. E Pier Paolo non era un uomo debole, era fortissimo: faceva sport, era un uomo pieno di vitalità. Difficile immaginare che non si sia difeso”. Qualcuno all’epoca scrisse che Pasolini se l’era andata a cercare: “Un po’ come oggi succede alle donne stuprate, per questo in tante ancora non denunciano – ha commentato Maraini –. Ci sono stati anni di sospetti e riprovazione. Un giorno io e lui eravamo al teatro Quirino e, durante l’intervallo, siamo usciti a prendere un caffè. La gente si allontanava come se fosse un appestato. Era il pubblico del teatro, la borghesia romana. Lo evitavano come se avesse i bubboni della peste. Succede sempre così, quando si lasciano le persone socialmente isolate e sole: si indicano come colpevoli e poi qualcuno tira fuori il coltello”.

Leggi anche

Dacia Maraini: "In Giappone nel campo di concentramento soffrivo la fame"/ "Carceri? Servono investimenti"