L’Europa dice di voler potenziare l’industria bellica, addirittura nominare un commissario UE alla Difesa nella prossima legislatura, come ha dichiarato Ursula von der Leyen in occasione della Conferenza per la sicurezza di Monaco. In realtà, osserva Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, autore de L’ultima guerra contro l’Europa, continua a comprare armi americane e non ha una politica estera comune che possa dare un indirizzo a questo sforzo. È sempre più legata mani e piedi alle iniziative USA senza che ci siano segnali di un’autonomia di decisioni; per ora tale autonomia viene evocata solo a parole.
Proprio nella guerra che più la interessa, quella in Ucraina, von der Leyen non ha avanzato nessuna proposta per la soluzione del conflitto, nonostante ne sia stata elaborata una anche dai Paesi africani. E anche il paventato pericolo di una invasione russa dopo la conquista dell’Ucraina sembra solo il tentativo di convincere un’opinione pubblica riluttante ad aiutare ancora Kiev. Le forze armate ucraine, intanto, sono state costrette al ritiro ad Avdiivka e continuano a essere in grossa difficoltà.
La Von der Leyen ha dichiarato che, se rimarrà presidente della Commissione europea, istituirà un commissario alla Difesa. Finalmente l’Europa si è accorta che ha bisogno di una strategia difensiva?
L’Europa ne parla da tantissimo tempo, ma non ha messo a punto nessuna politica di difesa autonoma. L’ultimo dibattito che c’è stato su questo punto si è sviluppato dopo la fuga da Kabul. Nei mesi successivi, in Europa si diceva che non era più possibile restare sempre a ruota degli americani, ma bisognava avere una dimensione strategica e militare continentale. Un dibattito completamente soffocato da quello che è successo in Ucraina, dove sono state seguite le indicazioni degli angloamericani.
Quindi?
Oggi si parla di un ruolo UE in quella guerra e di rimpiazzare gli USA, che sembrano volere ridurre il loro impegno. Se la UE dovrà vivere in una situazione di forte tensione con la Russia, sarà meglio che si doti di un commissario alla Difesa. Può essere utile, se però verrà espressa una politica di difesa comune. Ma non mi pare che stia avvenendo: lo dimostra il fatto che l’Europa non ha fatto nessuna proposta autonoma per risolvere la crisi ucraina. Lo hanno fatto sette Stati africani, ma non noi.
Puntare sulla difesa cosa vuol dire? Occorre un esercito comune o, comunque, come hanno detto il primo ministro tedesco Scholz e il segretario NATO Stoltenberg a Monaco, bisogna potenziare l’industria bellica? O c’è anche un problema di strategia politica, non solo militare?
Quando si pianifica per potenziare le forze armate, lo si fa per due esigenze. La prima è perché c’è una minaccia: stiamo per essere invasi dai russi perché non si accontenteranno dell’Ucraina ma marceranno verso Varsavia, Berlino, qualcuno dice anche Lisbona. L’altra ragione è che l’Europa vuole dotarsi di una postura internazionale di tipo militare e quindi si dota di uno strumento adeguato alle sue ambizioni. Non vedo credibile nessuno dei due scenari: non credo che la Russia voglia invadere l’Europa; stanno già facendo una fatica non indifferente a prendersi il Donbass. Le dichiarazioni di queste ore servono a motivare un’opinione pubblica che è stanca di questa guerra (e anche dei suoi governi, come in Germania e in Francia) a sostenere una campagna di riarmo pesante che in Europa ha sempre avuto difficoltà ad affermarsi, anche nei momenti di boom economico. Pensare che un’Europa in recessione economica possa riuscire a investire nelle forze armate e nel riarmo per un obiettivo comune lo vedo difficile.
Il dibattito ora verte intorno alla possibilità di usare i soldi stanziati dalla UE per l’Ucraina per comprare munizione fuori dall’Europa. La Francia, ad esempio, si oppone.
La gran parte dei Paesi europei comprano armamenti americani e i tedeschi sono i primi a farlo. La Francia e la Germania, negli anni scorsi, hanno messo a punto programmi militari congiunti. Berlino li sta abbandonando tutti per comprare armamenti americani, dagli aerei da pattugliamento marittimo agli elicotteri da combattimento. Ha varato il progetto Sky Shield, insieme a tredici Paesi del Nord e dell’Est Europa, che fonderà la difesa aerea e antimissile in funzione antirussa su sistemi missilistici di produzione tedesca, americana e israeliana. La Polonia ha in atto un programma di riarmo spaventoso e compra armamenti americani e persino sudcoreani. La realtà, al di là delle chiacchiere che si stanno facendo a Monaco, è che c’è un’Europa che sta spendendo di più per la difesa, ma in buona parte acquistando armamenti americani. Non mi sembra un segnale di autonomia.
Trump però ha fatto presagire un possibile disimpegno degli USA dalla NATO. Gli europei devono prepararsi a questo scenario?
Se l’America esce dalla NATO, il Trattato del Nordatlantico finisce. Potrà esistere una struttura di difesa europea, ma la UE è composta da Stati sovrani, ognuno dei quali ha sue forze armate, un suo governo e interessi divergenti. Prendiamo ad esempio la guerra in Libia: alcuni Paesi hanno avuto interesse a farla, pensiamo a Gran Bretagna e Francia, contro gli interessi di un altro Paese dell’Unione Europea, l’Italia. Nell’operazione europea per controllare gli accessi al Mar Rosso contro le azioni degli Houthi, alcuni Paesi hanno aderito alla missione europea (Francia, Germania, Grecia, Italia), altri (Olanda e Danimarca) a quella degli americani e degli inglesi. Forse perché vogliono favorire porti come quello di Rotterdam.
L’Europa, oltre alla difesa, non ha una politica estera comune: senza, come è possibile avere una strategia comune?
Non ci può essere. Il rapporto che c’è fra Italia, Francia e Germania non è lo stesso che c’è fra New Hampshire, Maryland e Texas.
Dovremmo diventare gli Stati Uniti d’Europa?
Non credo che l’attuale sistema UE inviti le nazioni a rinunciare alla propria sovranità: non vedo grandi spinte nemmeno da parte dei popoli a effettuare questa rinuncia.
Mentre la UE parla di difesa, ad Avdiivka gli ucraini si sono ritirati e hanno lasciato spazio ai russi. Hanno imparato la lezione di Bakhmut dove avevano resistito fino alla fine, perdendo molti uomini?
Gli ucraini si sono ritirati nel momento in cui i russi hanno sfondato il fronte, lasciando qualche migliaio di soldati circondati e prigionieri del nemico. Raccontano che si sono ritirati per salvaguardare i loro uomini: lo dicono sia Zelensky sia il nuovo capo delle forze armate, Sirsky. Ma se non volevano sacrificare molti soldati, la ritirata dovevano metterla in atto molto prima. Avdiivka da tempo è quasi circondata. Oggi gli ucraini hanno molte meno truppe da sprecare; devono assolutamente ritirarsi per evitare il crollo del fronte. Le truppe che se ne sono andate lo hanno fatto su strade sterrate e sotto il fuoco nemico perché hanno aspettato a evacuare la città quando i russi hanno sfondato da nord, occupando la strada principale. Se ci sarà un cambio di strategia di Kiev, lo vedremo nelle prossime settimane.
C’è un pericolo reale di collasso delle forze armate ucraine?
Che ci siano molti segnali di crollo del morale delle forze ucraine, che ci sia un deficit di mezzi, truppe e munizioni rispetto ai russi, è un dato evidente che loro stesse confermano. Gli ucraini dicono anche che i russi stanno preparando truppe su altri fronti: hanno schierato 70mila soldati nella regione di Zaporizhzhia. Intanto, l’Europa non ha più niente da fornire loro. L’ultimo invio di aiuti l’ha annunciato la Spagna e si parla di M113, che sono cingolati vecchissimi che verranno rimessi in sesto. I Paesi europei, per dare ancora qualcosa all’Ucraina, dovrebbero disarmare i loro reparti.
(Paolo Rossetti)
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