Riccardo Muti difficilmente riesce a banale, impossibile proprio l’esser “noioso”: chi pensa che il più grande direttore d’orchestra della recente storia musicale sia anche una persona con “poche cose da dire”, si sbaglia di grosso. In una lunga intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera il prossimo 80enne (il 28 luglio 2021, ndr) ammette senza particolari remore che è stanco, deluso e disilluso dalla vita: «E‘ un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: ‘Tutto declina’».
Riccardo Muti si dice definitivamente “stanco della vita”, anche se attenzione: non lo si prenda come una sorta di lamento per la sua particolare esistenza, ma più come una critica serrata alla contemporaneità a partire dall’educazione. «Sovente i giovani arrivano a dirigere senza studi lunghi e seri. Affrontano opere monumentali all’inizio dell’attività, basandosi sull’efficienza del gesto, talora della gesticolazione. Oggi molti direttori d’orchestra usano il podio per gesticolazioni eccessive – ribadisce Muti al CorSera -, da show, cercando di colpire un pubblico più incline a ciò che vede e meno a ciò che sente».
IL ‘NO’ DI MUTI AL POLITICAMENTE CORRETTO E AL METOO
Il direttore d’orchestra ritornato da poco sulle scene con il concerto di riapertura della Scala di Milano confessa di non sentirsi più appartenente ad un mondo «che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato». Delusione per la vita, speranza per l’Aldilà quando Riccardo Muti spiega tra l’ironico e il serio «Spero ci sia tanta luce; mi basta che non ci sia la metempsicosi. Non ho voglia di rinascere, tanto meno ragno o topo, ma neanche leone. Una vita è più che sufficiente». Crede in Dio e lo ritiene una cosa serissima, tant’è che preferisce Papa Ratzinger («anche come magnifico musicista») ai «santini di Gesù biondo»: «Dentro di noi c’ è un’ energia cosmica che ci sopravvive, perché è divina […] Sento che l’ universo è attraversato da raggi sonori che arrivano fino a noi; ed è la ragione per cui abbiamo la musica». Adora Dante e lo ritiene il migliore ad aver definito la musica («è rapimento, non comprensione»), mentre adora sempre meno l’epoca in cui si sta concludendo l’ultima parte della sua esistenza: «Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert “musica colonialista“: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima… C’ è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro». Muti ipotizza anche i suoi funerali e (forse) non molto scherzando ammette «non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’ era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore […] Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi».