Un passato in Formula 1, un presente tra trenini e cavalli. La vita dell’ex pilota Riccardo Patrese è cambiata da quando gareggiava. È l’unico italiano che, dal 1990 ad oggi, si è avvicinato al titolo iridato della F1. Eppure, la sua famiglia non avrebbe voluto che seguisse quella passione. «Mia madre, docente di lettere, insisteva per la laurea. Ma la F1 ha tagliato la testa al toro: studi accantonati. Dispiaciuto di non essermi laureato? Un po’ sì», racconta al Corriere della Sera. Ha provato anche lo sci agonistico e il nuoto, «ma nuotare era faticoso e a 11 anni ero già sui kart: così lasciai le piscine». Non ha mai sognato le Olimpiadi, perché la passione del padre e del fratello lo ha dirottato sui motori. In Formula 1, comunque, Patrese era bollato come un antipatico. «L’ha fatto fino al 1985, sull’onda dell’incidente del ‘78 a Monza che sarebbe costato la vita a Ronnie Peterson. Pur non avendo colpe, non fu facile per un ragazzo di 24 anni superare la bufera: ero stato sospeso per la gara di Watkins Glen e l’immagine era a rotoli. Mi chiusi a riccio».
Due persone importanti nella carriera di Riccardo Patrese sono state Bernie Ecclestone e Frank Williams. «Rinunciai alla sua Brabham perché avevo una lettera di Enzo Ferrari per finire a Maranello: l’occasione la sfruttò Nelson Piquet che nel 1981 fu campione. Se ci penso…». Nel 1981 la Ferrari preferì puntare su Pironi. «Più che il Drake credo sia stato il direttivo. Ecclestone allora mi accolse e nel 1982 a Montecarlo vinsi il primo Gp». Poi passò all’Alfa: «Due anni terribili. Nel 1985 ero quasi fuori dalla F1, ma Bernie mi riprese alla Brabham. Nel 1987 stava vendendo il team — cosa che nessuno sapeva — e mi suggerì alla Williams».
PATRESE “BRIATORE? CI SIAMO LASCIATI MALE”
Frank Williams è, appunto, il secondo punto fermo di Riccardo Patrese. «Ma anche qui c’è di mezzo un titolo iridato mancato. Per il 1978 io e Alan Jones eravamo in lizza sia per la Arrows sia per la Williams. Frank era agli esordi, io e Jones prendevamo tempo. Alla fine la Arrows scelse me, così Alan firmò per Williams e nel 1980 vinse il Mondiale: sono le sliding doors della vita». Nell’intervista al Corriere c’è spazio anche per un retroscena su Flavio Briatore, visto che è stato anche alla Benetton. «Nel 1993 ci siamo lasciati male, Briatore non è stato corretto. Lui e Alessandro Benetton mi avevano voluto a tutti i costi. La macchina non era all’altezza, ma Flavio dichiarò: “Se Patrese si fa battere da Michael Schumacher, è meglio che vada in pensione. Di ragazzini così ne trovo dieci”. Fu un clamoroso errore di valutazione pure verso di me: l’anno dopo al mio posto usò Lehto, che si schiantò subito, poi Verstappen senior che faceva i looping, infine Herbert. In tre non ottennero i punti conquistati da me nella stagione precedente». Un altro retroscena riguarda invece Enzo Ferrari, che volle parlare a Patrese dopo il Gp del Sudafrica. Era il 1978. «Il suo ufficio era cupo, ero intimorito. Ma fu gentile e mi fece firmare una lettera d’intenti: “Se cambio Villeneuve, prendo lei”. Non se ne fece nulla, però pretese di pagarmi la penale». Riguardo al noto incidente di Monza, Riccardo Patrese fu considerato il capro espiatorio per un motivo ben preciso: «Volevano proteggere James Hunt, responsabile della carambola».
L’INCIDENTE DI MONZA, SENNA E LA F1 DI OGGI
Secondo la ricostruzione di Riccardo Patrese si coalizzarono in cinque, con James Hunt in testa. Jody Scheckter gli avrebbe confessato di essere stato persuaso a parlare in quel modo. Emerson Fittipaldi era convinto che il pilota italiano fosse un selvaggio. Mario Andretti aveva perso il compagno di squadra alla Lotus, mentre Niki Lauda «difendeva i piloti del giro Philip Morris ed era amico di Hunt, come avrei imparato anni e anni dopo grazie al film “Rush”». Alla fine fu processato in un motorhome: «Hunt non disse una parola: aveva la coda di paglia». Anche Arturo Merzario testimoniò contro in tribunale. «Una cosa che mi ferì: non c’è mai stato un chiarimento, resto deluso da lui. In quel processo tanti spararono caz..e». In ogni caso, Patrese fu assolto, un sollievo, visto che era stata chiesta la galera. Con James Hunt finì a parolacce, anche se Bernie Ecclestone provò a fargli arrivare delle scuse che non sono mai arrivate al pilota italiano. Sei mesi dopo che era fuori dal “giro” morì Ayrton Senna. Lui doveva fare il collaudatore della Williams prima di far coppia col brasiliano, alla fine gli fu offerto il posto da titolare. Resta il pilota italiano più vicino al titolo della Formula 1 dal 1990 ad oggi, ma nel 1992 fu inevitabile, visto che al Corriere ha raccontato che Patrick Head gli disse che doveva vincere Mansell perché era stato deciso così. «Di occasioni ne ho avute, ma non ho rimpianti: le cose sono andate così, però nelle giornate migliori potevo battere chiunque». Ora comunque la F1 è diversa e così pure i piloti. «Ce ne sono di “bravetti”, ma li vedo molto “insegnati”: fanno il compito e stop, ai miei tempi si imparava con il fiuto. Hamilton o Verstappen? In questo momento Max ha “self confidence” e il vento in poppa. È forte, cattivo e pure stron*o, cosa che non guasta. Lewis? Adesso è più simpatico perché ha smesso di dominare. E un Mondiale, nel 2021, gliel’hanno scippato». Infine, su Ferrari e la scelta di nominare Frederic Vasseur nuovo team principal: «Negli ultimi tempi mi è parso che mancasse un capo che prendesse le decisioni. E poi c’è stato il “granchio” di voler smentire l’addio a Mattia Binotto quando invece era già tutto deciso».