Luca Richeldi, pneumologo al Policlinico Gemelli di Roma nonché componente del primo Comitato tecnico scientifico nel 2020, ha detto la sua sull’inchiesta sul Covid-19 nella provincia di Bergamo ai microfoni di La Stampa. “È un caso basato sul senno del poi. Mai mi sarei aspettato un’iniziativa giudiziaria che viola un principio base della medicina e della scienza, cioè che le decisioni si prendono in un dato momento, in virtù degli elementi disponibili. Io c’ero e mi colpisce ora vedere stimati colleghi accusati di omicidio”, ha affermato.
L’esperto ha vissuto in prima persona la prima ondata del virus, seppure non nella zona più colpita dalla diffusione dei contagi. “Nessuno ha sottovalutato la situazione in val Seriana. Passavamo ore e ore a esaminare qualunque dato o segnale arrivasse alla nostra attenzione. C’è sempre stato il massimo senso della precauzione a guidare l’attività del Cts, di fronte a una vicenda imprevedibilmente drammatica”, ha ricordato. Di fronte all’incertezza del momento, insomma, il professore è convinto del fatto che tutti abbiano agito come avrebbero dovuto. “Io un reato non lo vedo, un’azione legale non la capisco”.
Richeldi: “Inchiesta Covid basata sul senno di poi”. Gli errori del Cts
Luca Richeldi, nel ripercorrere il lavoro del Comitato tecnico scientifico nel corso della prima ondata del Covid-19, è consapevole di quelli che furono gli errori. “Tutti abbiamo sbagliato e più volte. Ma dov’è il dolo? Me lo chiedo da medico, in primis. Capita ogni giorno in ospedale di sbagliare. Lo stesso paziente che ho curato l’anno scorso, oggi forse lo curerei diversamente, perché ci sono nuove terapie e informazioni”, ha affermato. Anche per quel che riguarda i politici indagati, il parere è il medesimo. “Come si fa a mettere in dubbio la volontà di salvare delle vite da parte del presidente dell’Iss o del presidente del Consiglio?”.
Il dubbio è sulle tempistiche di attuazione delle zone rosse e del lockdown, ma ai tempi quest’ultimo fu anche aspramente criticato da qualcuno. “Avremmo potuto anticipare le chiusure in tutta Italia al 20 febbraio, il giorno in cui abbiamo scoperto il paziente 1 a Codogno. Avremmo evitato migliaia di morti. Ma se lo avessi proposto quando ancora non sapevamo nulla di quello che ci aspettava, mi avrebbero preso per matto”, ha concluso.