Vaccinare i ragazzi tra i 12 e i 17 anni non è prioritario. A sostenerlo è il professor Luca Richeldi, direttore di Pneumologia dell’ospedale Gemelli di Roma ed ex componente del Comitato tecnico scientifico. «Il vaccino è un farmaco che si dà alla persona sana per prevenire un rischio. Quanto più è alto il rischio, tanto più il vaccino è “conveniente” e quindi i potenziali effetti collaterali sono accettabili. Nei giovani però l’impatto clinico è molto ridotto», ha dichiarato a “Omnibus”. Inoltre, ha citato dati precisi, quelli ad esempio dell’Inghilterra, dove sono morti in tutto 30 minori. «Erano in gran parte minori con patologie».



Quindi, nel Regno Unito si è fatta una valutazione: «Hanno detto che tra i 12 e i 17 anni hanno priorità di vaccinazione coloro che hanno fattori di rischio aggiuntive, cioè altre patologie, come neurologiche, metaboliche e respiratori. Su questi minori c’è una indicazione a vaccinare. Per quelli sani è stato calcolato che il rapporto costo-benificio non è in favore di una vaccinazione di massa».



RICHELDI, DAL VACCINO A 12-17ENNI AI NO VAX

Peraltro, non è neppure chiaro che tipo di impatto abbia la vaccinazione sui 12-17enni sulla circolazione del coronavirus. «Non c’è un approccio sicuro e certo, chiedo sia necessario parlare col proprio pediatra di fiducia per valutare eventuali fattori di rischio», il suggerimento del professor Luca Richeldi. A “Omnibus” ha citato anche il caso degli Stati Uniti, dove c’è un approccio diverso: «I vaccini vengono dati in maniera indiscriminata a tutti, anche ai bambini». Richeldi ha però ricordato che «se un bambino vive con persone vulnerabili, in quel caso anche in Germania e Inghilterra è raccomandata la vaccinazione».



Per quanto riguarda invece i no vax, ha ribadito l’importanza della campagna vaccinale. «È uno strumento per eliminare il virus, per ridurlo ad un non problema sanitario. Io me lo prendo e mi faccio l’immunità? Questo succede molto spesso, ma molto spesso no. Ci sono nuovi farmaci in arrivo, ma non sappiamo le conseguenze a lungo termine dell’infezione, visto che sono passati solo due anni». Del resto, già la sindrome del long Covid dovrebbe essere uno stimolo alla vaccinazione.