«Non penso che come Comitato tecnico scientifico abbiamo commesso gravi errori». A parlare è il professor Luca Richeldi, presidente della Società italiana di Pneumologia e direttore dell’Unità operativa complessa di quella specialistica al Policlinico Gemelli di Roma. Membro del Cts, che suggerisce scelte e strategie al governo, nell’intervista rilasciata a Il Messaggero spiega che col senno di poi che si poteva comunque prendere qualche decisione diversa. «Forse, ripensandoci ora, avrei evitato di rendere riservati i documenti. Ma temevamo che ingenerassero confusione». Il riferimento è alla pubblicazione dei 98 verbali delle riunioni del Cts e alla decisione di non diffondere il piano di governo. «In buona fede si è valutato che quei documenti non avrebbero aiutato la comprensione dei cittadini, avrebbero solo creato confusione. La confusione poteva essere dannosa». Richeldi ricorda che all’epoca c’era «incertezza totale», in quanto l’Italia fu tra i primi Paesi colpiti in Europa e dalla Cina arrivavano poche informazioni.

RICHELDI “SAPEVAMO POCO DEL CORONAVIRUS”

Anche sulla frenata relativa all’uso delle mascherine il professor Luca Richeldi dà una spiegazione: «La verità è che all’inizio non sapevamo, non lo sapeva nessuno, che il virus è così facilmente trasmissibile e che anche gli asintomatici possono contagiare». Simile a quello delle mascherine è il discorso sui tamponi, sconsigliati inizialmente alle persone senza sintomi: «Per analogia con altre malattie respiratorie, si pensava che la vera fonte di trasmissione fosse chi ha la febbre, un sintomo. In altre malattie non esiste una così larga fetta di asintomatici come per il coronavirus». Nell’intervista a Il Messaggero chiarisce che quella decisione non era legata alla mancanza di reagenti ma al livello di conoscenza che c’era allora della malattia. Non poteva mancare una riflessione sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro: «Non penso che questo abbia avuto un grande impatto sull’andamento dell’epidemia». Inoltre, i dati della Lombardia cambiavano continuamente. «Noi, in quelle ore, davamo indicazioni sulla base dei positivi che si trovavano, ma ora sappiamo che erano molti di più, 10-20 volte in più. Ma il governo, comunque, dopo pochi giorni chiuse prima tutta la Lombardia, poi tutto il Paese».