O sei con me o sei contro di me. Anzi, sei un negazionista. La pandemia ci ha insegnato che avere un’opinione diversa rispetto alla narrativa dominante porta ad essere tacciati di ‘negazionismo’. A prescindere dal fatto che la tesi contraria possa essere supportata da valide tesi, e senza considerare se provenga perfino da un premio Nobel. Di questo parere Luca Ricolfi, sociologo e docente di analisi dei dati all’Università di Torino, che, intervistato a La Verità, ha espresso il suo punto di vista su svariate tematiche del momento, non esimendosi dal mostrare scetticismo e criticità su ciò che spesso ci viene raccontato.



Tra i temi trattati si è concentrato sulla povertà e sul dibattito intorno alla previsione del salario minimo. Il sociologo innanzitutto ha voluto porre l’attenzione non solo su lavoratori sottopagati e famiglie colpite dalla crisi post-Covid. Ha voluto anche ricordare come siano anche le piccole imprese a trovarsi in difficoltà, inserendole in quella ‘povertà del rischio’ da cui ormai è pervaso il nostro Paese. Questa situazione sarebbe colpa non solo della pandemia e della guerra in Ucraina, ma anche di stipendi troppo bassi e dell’arcipelago’ delle cooperative sempre più pronte a sfruttare. Ma secondo il professore il salario minimo potrebbe non essere una soluzione efficace, e addirittura essere controproducente.



NEGAZIONISMO E CAMBIAMENTO CLIMATICO : “DRAMMATICA INVERSIONE DELLA CATENA DELL’AUTOREVOLEZZA”

Ricolfi è stato duro anche su tematiche calde come quelle del cambiamento climatico. Già con la Fondazione Hume, da lui presieduta, erano state prese posizioni critiche verso le politiche messe in atto al tempo del Covid, come lockdown, obblighi vaccinali e green pass, considerandole veri e propri fallimenti. E con gli allarmismi di oggi legati al surriscaldamento globale il professore riscontra analogie e lo stesso ‘modus operandi’ che porta a ‘ghettizzare’ come negazionista chi si discosta dal pensiero dominante, spacciato per unico e veritiero.



Ormai il clima è diventato il terzo ambito, dopo Covid e guerra in Ucraina, in cui è impossibile esercitare il dubbio. Ma, attenzione, il punto non è che certi dubbi non si possono esprimere, il punto è che se lo si fa si perde la propria reputazione, per quanto alta possa essere stata in passato. È una drammatica inversione della catena dell’autorevolezza: un tempo erano le affermazioni a trarre vigore dall’autorevolezza di chi le enunciava. Oggi è l’autorevolezza di chi parla che viene compromessa dal contenuto più o meno corretto delle sue affermazioni. Puoi anche essere un premio Nobel, un grande scienziato, un’autorità morale, ma se metti in dubbio le verità che il pensiero dominate considera irrinunciabili, scatta una sistematica demolizione della tua persona e delle tue credenziali.”

UTERO IN AFFITTO: LA RELAZIONE ‘ASIMMETRICA’ TRA COMMITTENTE E GESTANTE

Infine Ricolfi si è espresso anche sull’utero in affitto. Il politically correct grida allo scandalo quando incontra chi è contrario a concederlo in Italia. Ma forse la pratica richiederebbe un’analisi più approfondita prima di essere esaltata o condannata. E infatti lo stesso sociologo ha voluto porre l’accento sull’elemento della compravendita che troppo spesso viene offuscata a fronte dei preminenti diritti di avere figli a tutti i costi.

«La lotta contro l’utero in affitto (o Gpa: gestazione per altri) sarebbe illiberale, e magari accusabile di ritorno allo “Stato etico”, se incidesse solo sulla libertà delle donne di disporre del proprio corpo. Ma non è così, perché la Gpa coinvolge anche il bambino, che viene strappato alla madre biologica, ed esposto ai turbamenti connessi alla genitorialità plurima. E poi c’è la questione di fatto: salvo rari casi la Gpa instaura una relazione asimmetrica: possiamo almeno chiamarla così? Fra il committente – di solito ricco – e la gestante – di solito povera.