«L’Italia post-Covid rischia di diventare una società parassita di massa, popolata da tanti non-produttori che vivranno in condizioni di dipendenza dall’assistenzialismo statale»: così su Huffington Post solo ad inizio maggio il professore e sociologo Luca Ricolfi temeva una fortissima crisi che potesse abbattersi sull’Italia nei prossimi mesi ancor peggiore di quella già in corso. Dopo l’uscita del Decreto Rilancio e i 55 miliardi in deficit prodotti dalla maxi-manovra del Governo Conte, il quotidiano di Matti Feltri è tornato a chiedere lumi al professore, ottenendo una visione ancora più nefasta di quella elaborata solo qualche settimana fa: «primo governo risolutamente iper-statalista della storia della Repubblica» diceva Ricolfi e lo riconferma assolutamente dopo il nuovo Dl Rilancio, «Andando avanti sulla strada intrapresa, più che di “malato” d’Europa temo che dovremo parlare di “moribondo” d’Europa».



Secondo l’ottima intervista di Del Vecchio a Ricolfi, il doppio tema iper-delicato e sensibile si chiama burocrazia e crescita: si rischia di tornare indietro di mezzo secolo, «Individualmente sopravviveremo quasi tutti, si spera, ma assisteremo alla progressiva demolizione del nostro mondo sociale: la società signorile di massa si inabisserà». Secondo il professore serve cambiare tutto altrimenti nel giro di qualche anno anche i parassiti-assistiti non se la passeranno per niente bene, «saranno sudditi come a Cuba, poveri come in Grecia».



LE TRE RICETTE PER USCIRE DALLA CRISI

Per evitare questo scenario apocalittico per l’economia italiana secondo Luca Ricolfi non vi sono molte strade diverse dallo “scacco in 3 mosse” proposte nell’intervista odierna: «La prima: renderci un paese normale quanto a burocrazia, eliminando la “presunzione di furbizia” che è ubiqua nella nostra legislazione, dal codice degli appalti alle infinite norme e procedure che asfissiano i produttori». In secondo luogo «un taglio drastico, immediato, e almeno triennale delle tasse» e infine la terza ricetta a raggio molto più breve, «saldare entro 30 giorni tutti i debiti delle pubbliche amministrazioni verso il settore privato, senza andirivieni bancari e fra enti pubblici. E’ incredibile che lo Stato faccia moral suasion sulle banche perché aiutino i produttori a indebitarsi, e non pensi che molte imprese devono indebitarsi precisamente perché lo Stato non paga i suoi debiti». Secondo Ricolfi bisogna partire dal taglio di Irap e Ires per privilegiare fin da subito le imprese che fanno aumentare occupazione e circolarità dell’economia. Particolarmente negativo anche sul quadro attuale delle normative utilizzate dal Governo per le riaperture, a cominciare dal protocollo “per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”: «sono rimasto sconcertato, per la farraginosità […] protocollo è chiaramente pensato per la grande impresa. […] Le regole dell’Università non le pensano gli studiosi, ma i manager-burocrati che la governano. Le regole della sanità non le fanno medici e infermieri, ma le fa l’immenso apparato amministrativo che se ne è impossessato».



Infine, un “appello” non richiesto al Premier Conte in vista del prossimo Decreto semplificazioni: «semplicemente mi terrorizza. Lo smantellamento del mostro burocratico e la riforma della giustizia civile richiederebbero almeno 4 o 5 anni di lavoro anche al più serio e ben intenzionato dei governi. Nel breve periodo, l’unica strada percorribile a me pare quella di prevedere, ovunque sia possibile e ragionevole, norme transitorie che scavalchino e sospendano tutte le altre, come si è fatto con il ponte di Genova, e come si potrebbe fare in molti altri casi. Non hanno esitato a toglierci le nostre libertà più prezioseconclude netto Ricolfi – possibile che l’unica cosa intoccabile sia la giungla degli adempimenti e delle procedure che stanno strangolando l’Italia?».