Il Pnrr va cambiato perché frutto di un’altra epoca! Non usa i mezzi termini il Presidente della Confindustria Carlo Bonomi per rivendicare un cambio di politica economica alla luce delle analisi del Centro Studi della sua Associazione che ridimensionano drasticamente le previsioni del tasso di crescita economica per l’anno in corso dal 4,5% all’1,9%.
Bisogna attuarlo, ripetuto tre volte, gli replica a distanza il ministro dell’Economia Daniele Franco: il rischio di uno scenario negativo rende più che mai urgente concentrare le energie per utilizzare rapidamente le risorse europee già programmate.
Entrambi i contendenti hanno utilizzato solidi argomenti per sostenere le loro tesi, che vanno altamente ponderati evitando di ridurre le divergenze a un semplice scambio di opinioni.
Il cambio di rotta viene sollecitato anche da molti protagonisti della vita politica ed economica del nostro Paese alla luce delle conseguenze degli eventi bellici. Lo scenario macroeconomico preso in considerazione dalle Autorità politiche e finanziarie dell’Ue con l’approvazione del programma Next Generation Eu e dei piani di attuazione nazionali – che rimane fondato sul rapido recupero dei livelli del Pil precedenti la pandemia, sulla stabilità dei prezzi e della sostenibilità dei piani di rientro dei debiti pubblici – è radicalmente mutato nel giro di pochi mesi. L’inflazione media europea veleggia al di sopra del 7%. Non viene più considerata come un fenomeno provvisorio, ma la conseguenza delle tensioni generate dal riassetto post-pandemico dell’economia globalizzata. Pertanto preso in considerazione dalla Bce per adottare misure restrittive sulla liquidità disponibile. Il conflitto bellico nel territorio europeo è destinato a provocare cambiamenti profondi nei valori e nei comportamenti delle nostre comunità.
Le previsioni più pessimistiche si ricollegano a quanto avvenuto negli anni ’70 dello scorso secolo, con l’esplosione dell’inflazione a due cifre generata dalla vertiginosa crescita dei prezzi del petrolio, per un valore 10 volte superiore a quello originale e la parallela riduzione dei consumi, della produzione e dell’occupazione. L’avvento di uno scenario di recessione economica combinata con l’inflazione è assai probabile, e non solo per le conseguenze del prosieguo di un conflitto bellico dagli esiti incerti. L’impossibilità di approvvigionare le materie prime e le forniture di componenti della produzione a basso costo comporterà una riduzione dell’offerta di prodotti e di servizi, l’esigenza di ricostruire le filiere produttive sulla base di altre priorità rispetto a quelle ipotizzate dal Pnrr, e un aumento dei tempi di realizzazione. Con costi economici e sociali aggiuntivi derivanti dagli investimenti imprevisti, per far fronte alla svalutazione dei redditi e delle famiglie e delle persone coinvolte nelle riorganizzazioni produttive. Degno di nota il fatto che fino a qualche mese fa buona parte di questi investimenti veniva ferocemente contrastata.
Quello che sta avvenendo, per i sostenitori della necessità di ripensare gli obiettivi e la destinazione degli importi finanziari del Pnrr, è solo la punta di un iceberg che rivelerà nel tempo la portata dei cambiamenti che saremo costretti a prendere in considerazione. Significativo il fatto che a sostenere questa esigenza siano gli esponenti dell’industria manifatturiera che hanno guidato la ripresa post-pandemica delle attività produttive, con un ritorno sui livelli precedenti alla pandemia, grazie alle dinamiche delle esportazioni. La seconda ondata della crisi economica, diversamente da quella originata dall’emergenza sanitaria, che ha colpito molti dei comparti dei servizi collettivi, compromette la tenuta delle attività produttive più efficienti. “Meno piste ciclabili e più gassificatori”, è la battuta pronunciata da Carlo Bonomi per rendere più esplicite le intenzioni.
Per i sostenitori della continuità dell’attuale impianto del Pnrr, il cambiamento dello scenario macroeconomico fornisce ulteriori motivazioni per accelerare l’attuazione degli obiettivi del Piano, sollecitati dalla necessità di accelerare i recuperi di efficienza, di produttività e di sostenibilità ambientale della nostra economia. In questo senso, anche il ridimensionamento delle previsioni della crescita economica richiedono, a maggior ragione, di rimettere in campo il volume di investimenti aggiuntivi previsto dal Pnrr che, secondo le stime originali dell’Esecutivo, dovrebbero contribuire a una crescita aggiuntiva pari al 3,5% del Pil nel corso dei prossimi 5 anni. La messa in discussione degli obiettivi del programma, o un suo parziale rifacimento comporterebbe un allungamento dei tempi di utilizzo delle risorse e delle procedure, provocando ulteriori ritardi nei tempi di attuazione.
Nei prossimi giorni sarà definito il nuovo Documento di programmazione economica e finanziaria, che ridimensiona le stime della crescita economica, gli impatti sul bilancio pubblico e che avrà il compito di individuare le scelte di politica economica funzionali a contrastare l’impatto recessivo delle dinamiche descritte. Ma il tema di come ripensare l’impianto del Pnrr rimane aperto. Nel breve periodo è un interesse comune quello di rafforzare l’attuazione degli obiettivi già concordati con le Autorità dell’Ue e l’attività dell’apparato amministrativo centrale e periferico che deve assicurare l’operatività delle risorse. Gli obiettivi di fondo del programma, in particolare l’esigenza di aumentare la quota delle energie rinnovabili e la produttività delle attività economiche con il concorso della digitalizzazione dei processi e dei servizi, trovano nuovi motivi per essere rafforzati.
Ma è del tutto evidente che il perseguimento di questi obiettivi dovrà essere adeguato alle nuove condizioni. Le caratteristiche della transizione energetica ambientale sono mutate radicalmente e inevitabilmente condizionate dalla definizione di un programma europeo rivolto a ridurre i livelli di dipendenza dalle importazioni che provengono dalle aree esposte ai rischi delle tensioni internazionali (praticamente tutte, ivi comprese quelle a cui ci stiamo rivolgendo per avere le forniture di gas alternative alla Russia). Questo approccio sta prendendo piede anche per le componenti tecnologiche avanzate con il coinvolgimento delle aziende nazionali e multinazionali. In entrambi i casi si prefigura una mobilitazione di risorse europee e statali, pubbliche e private, destinate a modificare radicalmente l’impostazione dei Pnrr. Per lo scopo, nell’ambito delle Istituzioni europee si sta seriamente pensando di utilizzare la quota delle risorse del programma Next Generation Eu destinate ai prestiti e non prenotate dagli Stati nazionali.
In questo ambito l’Italia risulta essere l’unico Paese ad aver prenotato l’intera quota dei finanziamenti a prestito. Quella che, nell’ambito degli impieghi, risulta essere meno appetibile, più difficile da impiegare e che deve essere rimborsata.
L’inflazione comporta, in parallelo, una svalutazione degli importi disponibili e la necessità di focalizzare le priorità degli interventi, cosa già evidente per le opere infrastrutturali.
Gli sforzi dell’Esecutivo sono tutti concentrati verso il funzionamento della macchina amministrativa, essenzialmente con le assunzioni di personale qualificato, che stanno riscontrando difficoltà per via della carenza di un’offerta di lavoro con le competenze richieste. Tutta la governance del Pnrr sta risentendo dello scarso coinvolgimento degli attori economici privati e sociali per la progettazione e la gestione delle risorse nelle filiere produttive.
La carenza di risorse umane competenti nel mercato del lavoro e rapportate ai fabbisogni delle imprese ha assunto proporzioni inaccettabili, persino destinate ad aumentare se si intensificano le riorganizzazioni aziendali con l’ausilio delle tecnologie digitali. Tutta la parte del Pnrr dedicata allo scopo di rendere sostenibili le transizioni lavorative, centrata sul rafforzamento ancora in itinere dei Centri pubblici per l’impiego, è palesemente inadeguata rispetto alle condizioni reali della domanda e dell’offerta di lavoro.
Le carenze della governance della gestione del Pnrr si riscontrano anche nella qualità delle relazioni sociali e nell’incapacità delle rappresentanze imprenditoriali e dei lavoratori di offrire un contributo condiviso alla gestione di molti contenuti del Piano.
La combinazione della svalutazione dei salari legata all’inflazione e l’intensificazione delle criticità occupazionali può essere gestita con un incremento massiccio della produttività e rendendo sostenibili le transizioni lavorative, riservando gli interventi assistenziali verso le persone fragili.
La complessità delle variabili e degli attori che possono concorrere a determinare i cambiamenti futuri rendono incerte le previsioni e suggeriscono di adottare un approccio flessibile e dialogante tra le istituzioni, i partiti e le rappresentanze sociali nella ricerca di soluzioni appropriate e da gestire con un approccio responsabile e contributivo. Al Pnrr bisogna restituire un’anima, e questi sono i tempi giusti per riscoprire le ragioni della appartenenza alla Comunità nazionale.
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