La chiusura delle sale cinematografiche, imposta per cercare di contenere la pandemia, ha costretto la maggior parte dei festival cinematografici a trasferirsi online utilizzando piattaforme per lo streaming. Questo ha prodotto delle conseguenze paradossali che potrebbero portare a dei cambiamenti permanenti, realmente rivoluzionari, per la promozione. la distribuzione e la fruizione dei film e per l’organizzazione dei festival stessi.



Da un giorno all’altro iniziative locali, piccole e sconosciute, nonostante il roboante aggettivo “internazionale” al quale nessuna sa rinunciare, sono diventate nazionali, cioè i film da loro programmati nelle sale virtuali sono divenuti accessibili a tutti su tutto il territorio italiano. In certi casi addirittura, se gli aventi diritto la autorizzavano, la proiezione virtuale di alcuni film è divenuta accessibile in Europa o in tutto il mondo.



Un’altra conseguenza è stata l’abbattimento dei costi. Le sale virtuali costano molto meno delle sale reali e non ci sono spese per i viaggi e l’ospitalità per le delegazioni dei film, per i registi e gli attori, che partecipano a conferenze stampa, incontri con il pubblico e masterclass rimanendo a casa propria e intervenendo online. Nello stesso tempo le istituzioni pubbliche, statali e locali, e gli sponsor, hanno assicurato, almeno per quest’anno, il loro contributo e, quindi, le manifestazioni si devono svolgere comunque. Il fatto di dover realizzare una manifestazione a costi comunque inferiori al previsto ha permesso a molti festival di consentire l’accesso gratuito a tutta la programmazione ovvero prevedere un accredito-abbonamento a un prezzo popolare alla portata di tutti.



Dovendosi svolgere entro l’anno, le iniziative previste nei mesi della prima clausura si sono spostate di data nel secondo semestre 2020 e si sono dovute trasferire online, a parte pochi festival coraggiosi e fortunati, come Il Cinema ritrovato di Bologna, la Mostra di Venezia e la Festa del cinema di Roma, che sono riusciti a svolgersi in presenza. Il Festival di Torino, appena concluso, che aveva comunque previsto una edizione 2020 ibrida, dopo il Dpcm del Governo, che ha chiuso le sale cinematografiche a novembre, si è dovuto reinventare e in pochissimi giorni ha organizzato un’edizione completamente in streaming. Il cambiamento di date sta concentrando negli ultimi mesi di quest’anno un numero incredibile di festival cinematografici, per cui ogni settimana sono disponibili i film non di un festival ma anche di tre o quattro festival simultaneamente, come se fossero i canali di una nuovissima emittente digitale a disposizione del pubblico.

Gli effetti principali della rivoluzione dei festival online riguardano anche il pubblico. Finora il pubblico dei festival era formato in media al 70-80% dal pubblico locale e per il 20-30% da quello nazionale e, raramente, internazionale. I primi dati di partecipazione ai festival online mostrano, invece, che adesso avviene esattamente il contrario. La maggior parte del pubblico dei festival online partecipa da tutt’Italia e quello locale è minoritario. Esemplare è il caso delle Giornate del cinema muto di Pordenone, uno dei festival italiani più importanti ma più di nicchia, frequentato soprattutto da critici, storici del cinema e cinefili superspecializzati, che essendo accessibile da tutto il mondo ha avuto una inimmaginabile partecipazione internazionale, con tutte le proiezioni virtuali di film muti sempre in sold-out, cioè con i posti esauriti. Anche le sale virtuali delle masterclass, tutte sulle musiche di accompagnamento dei film muti, e le presentazioni, quasi sempre in inglese, di libri sul cinema non sonoro, erano sempre piene di spettatori virtuali.

Ma non solo il pubblico dei festival non è più locale, sta anche cambiando la sua natura. Finora il pubblico dei festival era un’élite formata da critici, giornalisti, professionisti, cinefili accreditati e spettatori che acquistavano biglietti per le proiezioni. A Cannes, per esempio, il pubblico non è ammesso alle proiezioni ufficiali del Festival e non si possono acquistare biglietti. La selezione elitaria dei partecipanti ai festival, inoltre, era basata, finora, anche su una discriminazione sociale ed economica. A parte i professionisti del settore, solo chi dispone di tempo libero e risorse economiche per pagarsi viaggio e soggiorno può partecipare a festival che non si svolgono nella propria città. Anche i più appassionati cinefili, se non erano in possesso di tempo e denaro sufficienti, potevano seguire i festival solo a distanza, attraverso i media. Quest’anno invece tutti gli appassionati di cinema si sono trovati a disposizione centinaia di film, tutti inediti, non solo appartenenti a cinematografie (africane, orientali, giapponesi, coreane, indiane, ecc.), le cui opere non vengono distribuite in Italia, ma anche di generi cinematografici popolari (fantascienza, thriller, giallo, horror, ecc.) accessibili gratuitamente o al costo pari a quello di un solo biglietto delle sale cinematografiche chiuse. Ma ora anche il pubblico dei non cinefili sta scoprendo che può partecipare a un festival e che i film proiettati nelle sale virtuali non sono soltanto film russi con i sottotitoli in arabo e kazako. Per la prima volta critici e pubblico si trovano, poi, nelle stesse condizioni. Chi finora poteva solo leggere la recensione di un film proiettato in un festival e poi aspettare, magari per anni o per sempre, che uscisse in Italia, lo può adesso vedere e valutare subito con i propri occhi.

Se dopo la pandemia, com’è probabile, i festival cinematografici continueranno a svolgersi online, o anche online con formula ibrida, questo rivoluzionerà senz’altro la filiera della produzione, della distribuzione e, ovviamente, dell’esercizio.

Due festival meritano di essere segnalati all’attenzione di un nuovo pubblico in questo inizio di dicembre: il RIFF-Rome Indipendent Film Festival, giunto alla 19a edizione e FILMMAKER di Milano che compie 40 anni. Entrambi sono specializzati nelle produzioni indipendenti e presentano, complessivamente, oltre 145 film, tra lungometraggi e cortometraggi, tra film di finzione, documentari e film di animazione, un numero addirittura superiore a quello dei film programmati quest’anno (133) dal Torino film festival. I film potranno essere visti in streaming sulla piattaforma Mymovies fino al 10 dicembre per il RIFF (il link è: https://www.mymovies.it/ondemand/riff/) e fino al 9 dicembre per FILMMAKER (il link è: https://www.mymovies.it/ondemand/filmmaker/).

Il più anziano dei due festival citati, FILMMAKER, è dal 1980 un punto di riferimento per il documentario e il film di ricerca e di sperimentazione, una comunità e uno spazio di incontro di artisti e spettatori, un laboratorio che quest’anno si apre a un pubblico più vasto e nuovo. Il programma prevede oltre 60 film, divisi in numerose sezioni (concorso, fuori concorso, prospettive, filmmaker, filmmaker moderns, teatro sconfinato, fuori formato). Segnaliamo il film d’apertura Guerra e pace di Massimo d’Anolfi e Martina Parenti, un documentario, già proiettato alla Mostra di Venezia, che analizza i rapporti tra cinema e guerra. Nel concorso internazionale (10 lungometraggi) ci sono Lech Kowalski con C’est Paris aussi, che racconta i rapporti tra immigrati e Parigi, cominciando da Un americano a Parigi, mentre in Petite fille di Sebastien Lifshitz Sasha è una bambina di sette anni consapevole di essere nata in un corpo maschile. Sempre nel concorso internazionale, il regista Elvis Sabin Ngaïbino, in Makongo, segue zavattiniamente due pigmei che lottano per far studiare i bambini del loro villaggio. In Ziyara la regista Simone Bitton visita in Marocco le tombe dei santi comuni a ebrei e musulmani, simbolo di una possibile convivenza. In Purple Sea la co-regista siriana Amel Alzakout continua a riprendere mentre il barcone con il quale cerca di raggiungere l’Europa affonda. Il palestinese Kamal Aljafari è capace di raccontare, in Unusual Summer, la realtà del suo Paese ricorrendo ai video della telecamera installata dal padre, ormai morto, per scoprire chi spaccava i vetri della sua auto.

Sono prestigiose e imperdibili le partecipazioni nella sezione fuori concorso: City hall del Leone d’oro Frederick Wisemann, forse il più importante documentarista vivente, che racconta la democrazia americana dell’era Trump analizzando l’attività del municipio di Boston; Fiori, fiori di Luca Guadagnino che, durante la clausura, torna nella sua Sicilia alla ricerca del tempo perduto; il Leone d’oro Jia Zhangke racconta, in diciotto capitoli, intrecciando cinema e letteratura, la storia della Cina nel film Swimming out till the sea turns blue. Interessante anche La casa dell’amore, in cui Luca Ferri filma la prostituta trans Bianca Dolcemiele al lavoro nel suo appartamento. Da vedere, nella sezione Filmmaker moderns, l’opera della regista punk Tekla Taidelli che filma Abel Ferrara mentre in un bar di New York legge il My big assed mother (La mia mamma culona) di Bukowski e il racconto di una notte di sbronze prende vita. Oltre alle performance della sezione Teatro sconfinato da non perdere sono gli haiku per immagini, le lettere visive, raccolte sotto il nome di Corrispondenze attraverso le quali tutti quelli, come Michelangelo Frammartino, Franco Maresco, Carlo Hintermann, Anne Schmitt e tanti altri, che hanno partecipato alla comunità di FILMMAKER in passato, hanno voluto celebrare i primi quarant’anni del festival.

Tutti gli oltre 60 film di FILMMAKER sono disponibili su Mymovies per 72 ore dalla prima proiezione virtuale fino al 9 dicembre.

Il RIFF-Rome Indipendent Film Festival presenta, invece, ben 85 film tra lungometraggi, corti e documentari, un focus sul cinema ceco, una giornata sul cinema LGBTQ, incontri, pitching e masterclass virtuali e una sezione dedicata alle sceneggiature. Sono addirittura 21 i film in anteprima mondiale e 50 in anteprima italiana. La sezione Concorso è riservata a opere prime o seconde. In 7 Minutes di Ricky Mastro un poliziotto di Tolosa trova il figlio e il suo compagno impiccati e indaga sul mondo che frequentavano. Angie è un’adolescente che viene trascinata dal fidanzato Mario in un mondo di stupri e abusi di ragazze in Angie: lost girls dell’americana Julie Verdin. Ernesto di Giacomo Raffaelli e Alice De Luca racconta la storia di un adolescente romano alla ricerca di se stesso. Il film franco-belga Fires in the dark, opera seconda di Dominique Lienhard, ha per protagonista un ragazzo di 15 anni ed è ambientato nel XVII secolo in un piccolo villaggio isolato. Havel di Slávek Horák è la biografia di Václav Havel che da bohémien irresponsabile diventa un dissidente, un drammaturgo e infine il presidente della Cecoslovacchia post-comunista. In La Forteleza il giovane Roque, quando scoppia la rivolta a Caracas, si rifugia nella giungla amazzonica. Joseph in Surge, debutto dell’inglese Anell Karia, conduce una vita monotona e decide di intraprendere un viaggio sfrenato e sconsiderato nel centro di Londra per sentirsi vivo. Il polacco Time for love è ambientato su un treno dove può capitare di tutto anche d’innamorarsi.

Sono 18 i documentari in concorso, tra nazionali e internazionali. Raccontano storie di musicisti Darryl Jones: in the blood, dedicato al famoso bassista, Every thing that could have been, in cui la pop star norvegese Magnus Eliassen si rifugia nelle isole Lofoten per ritrovare la gioia della musica, e Makiria di Giulia Attanasio, appassionato ritratto di una protagonista della musica salentina. Mat e le sue amiche prendono parte a un seminario di auto-ginecologia in una camera a Nantes in Mat and her Mattes, opera di diploma di Pauline Penichout. In Opeka il protagonista rinuncia a fare il calciatore professionista in Argentina e va a fare il missionario in Madagascar, dove in 30 anni costruirà una città per i poveri. Nell’iraniano Women according to men vi è una carrellata su come viene vista la donna dai cineasti iraniani, dal 1932 alla rivoluzione islamica. Che fine hanno fatto i sogni? (del ’68, di Luther King, ecc.) è il titolo del documentario di Patrizia Fregonese e la domanda alla quale cerca di dare una risposta. Cinematti-Una storia folle di Giacomo Bartocci racconta del blog creato da Nicola di Monte, cassiere di cinema, dove 82.000 persone discutono assieme della loro passione comune. In La conversione di Giovanni Meola si raccontano due personaggi reali, un ladro e un bancario, che per anni hanno derubato e ingannato gli altri, ma grazie alla scrittura hanno detto basta.

Tutti i film citati, e molti altri, nonché numerosi corti, nazionali e internazionali, anche d’animazione, e un evento speciale di poesia visuale, SPQL, con versi in romanesco di Marco Lodoli, sono disponibili per 7 giorni dalla prima proiezione nella sala virtuale di Mymovies fino al 10 dicembre.