La grave crisi causata dalla pandemia ha riportato al centro della discussione politica le riforme necessarie per Italia. C’è da sperare che la discussione non si focalizzi solo su cosa ci chiede l’Ue per prestarci un po’ di soldi, ma possa concentrarsi su cosa veramente serve al nostro Bel Paese. E riforme come quelle del sistema fiscale, giudiziario e della burocrazia servono in primo luogo a noi cittadini, prima che a Bruxelles.
La storia ha già ampiamente dimostrato come tocchi a noi farle, senza aspettare l’intervento del Carabiniere europeo, che si comporta spesso come il Gatto e la Volpe, per rimanere con Collodi. Tanto più che in vista non c’è nessuna Fata, né Turchina, né Gialla, né Rossa.
L’esperienza mostra anche che in una situazione grave come l’attuale interventi a “spizzichi e bocconi” finiscono per aggravare il problema invece di risolverlo. Un aiuto a un approccio corretto potrebbe venire dallo strumento di gestione aziendale definito zero-based budgeting, che prevede che la costruzione del bilancio preventivo parta da zero, cioè ex novo, non basandosi sul pregresso. Questo approccio richiede la definizione accurata degli obiettivi che si vogliono raggiungere, la loro tempistica, i costi necessari e la loro allocazione. Un’analisi costi e ricavi che potrebbe perfino rimettere in discussione il punto di partenza.
Un approccio, quindi, ben diverso da quello normale nella Pubblica amministrazione, ma anche di molte aziende, che richiede senza dubbio strumenti tecnici non sempre semplici. Tuttavia, il punto principale è che un tale processo può solo partire dall’alto, cosa difficile anche in un’azienda privata, in quanto mette in discussione assetti ormai definiti, poteri settoriali acquisiti, interessi di parte. Soprattutto, mette in gioco le capacità di leadership e di assunzione di responsabilità, senza le quali si rischia solo uno sterile esercizio accademico o propagandistico. Vengono alla mente le varie e inutilizzate spending review o l’ormai dimenticata esperienza del ministero per la Semplificazione normativa del governo Berlusconi dal 2008 al 2011.
Il metodo delineato non dovrebbe limitarsi alla sola stesura dei budget di spesa, ma estendersi a tutto il processo di riforma della Pubblica amministrazione. Si scoprirebbe, tra l’altro, che i problemi non partono dalle mancanze dei burocrati, talvolta anche rilevanti, ma risalgono a chi detiene le responsabilità ultime. Viene subito da pensare al potere esecutivo, ma il governo, cui si può addebitare buona parte del problema, è responsabile dell’esecuzione: il problema ha origine nel Parlamento, cuore del nostro sistema di democrazia parlamentare.
Per il buon funzionamento di un sistema è necessario che il complesso delle leggi e delle norme sia lineare, cioè non contraddittorio al suo interno, e facilmente comprensibile per chi deve utilizzarlo. Non sembra essere questa la nostra situazione, con leggi numerose, spesso sovrapposte, difficili da capire per gli stessi addetti ai lavori. Una responsabilità questa che è esclusivamente dei parlamentari, che sembrano spesso considerare una legge come luogo di contemperamento dei rispettivi interessi di parte, invece che l’emanazione di regole per il convivere civile in vista del raggiungimento del bene comune.
Questo giudizio trova riscontro non solo nella proliferazione e nell’oscurità semantica delle nostre leggi, ma anche per l’apparente sostanziale disinteresse sulla reale possibilità di applicazione delle leggi una volta approvate. È l’endemico problema dei decreti attuativi, senza i quali le leggi restano lettera morta: nel nostro Paese è “normale” che centinaia di leggi rimangano inapplicabili per la mancanza dei relativi decreti. Nella loro redazione sono centrali i tecnici dei vari ministeri, ma rimane in capo ai parlamentari la responsabilità ultima che i decreti vengano emanati e siano aderenti alla sostanza della legge.
Un altro elemento di instabilità è dato dai decreti legge, che hanno spesso assunto la veste di legislazione parallela del governo e non una modalità di azione necessaria di fronte a situazioni di emergenza che non sopporterebbero i tempi parlamentari. La XVIII legislatura, iniziata nel marzo 2018, a maggio 2020 ha prodotto 110 leggi, di cui 40 di conversione di decreti leggi e 70 leggi ordinarie, a riprova di quanto detto sopra.
Le riforme sono ormai indispensabili, ma saranno difficilmente attuabili se il medico non comincerà a curare se stesso.