La riforma del catasto è uno degli obbiettivi fissati dal ministero dell’Economia e delle Finanze all’interno di una serie d’azioni volte a indicare dei criteri per far operare correttamente le Amministrazioni Tributarie: nello specifico si vuole fortemente imporre un diktat al fine di consentire l’aggiornamento degli archivi catastali nell’ottica di una più equa imposizione fiscale. È notizia di questi giorni che il Governo Draghi voglia assicurare l’adempimento di tale misura, per un decisivo e costante ribaltamento dell’Anagrafe Tributaria Integrata. E precisamente, ci si riferisce al cambiamento delle rendite catastali di tutti i fabbricati, accostando a ognuno zona geografica, attributi geometrici, quotazioni in relazione della zona e soggetti di ruolo di diritti e quote. In più, l’Agenzia stessa, sta facendo di tutto per arricchire i dati immobiliari, con le informazioni ricavate dalla dichiarazione dei redditi.
Insomma, si è capito: si ritorna a parlare di riforma del catasto. Già in 2 articoli, su queste pagine del 4/08/2019 e 14/01/2020, affrontavamo tale problema e ci ponevamo parecchie, diciamo così interpellanze sul tema. Oggi ci chiediamo cosa realmente attende, dietro l’angolo, tutte le persone che possiedono una casa, un magazzino, ecc. Quale può essere il vero motivo e quali i rischi per il contribuente nel rivedere, da parte dell’apparato, il catasto? Incombe il capestro di una stangata immobiliare? Draghi & C. fanno uscire dal cilindro questa manovra solo per allagare la base imponibile contributiva? Se non si mettono paletti precisi (per esempio una garanzia che la prima casa resta esente da Imu-Tasi o una sorta di tutela per chi ha acquistato come seconda casa un “rudere” da ristrutturare) si rischia di trovarsi, per l’ennesima volta, con i portafogli svuotati?
Prendendo spunto dagli articoli sopra citati, e da un minimo di analisi attuale su quanto si dice a riguardo, cerchiamo di rispondere, sperando in maniera esauriente, a questi interrogativi. Diciamo prima di tutto che il legislatore deve affrontare un primo problema rilevante; in particolare si deve partire nel prendere in considerazione un’oggettività, dove i grandi agglomerati urbani sono frazionati in aree diseguali dal punto di vista del mercato e inoltre l’apparato prevede che il prezzo aumenti in caso di nuova edificazione e di conseguenza un complesso di abitazioni d’epoca di valore in centro città che si pongono sulla piazza ha un rilievo fiscale minore a pari metratura nei confronti di fabbricati nuovi ma in zona periferica: è per questo che strutturalmente c’è il bisogno di inserire nel sistema un metro di misura che vari e si modifichi basandosi su canoni di mercato più recenti e coerenti con la realtà.
In secondo luogo, ed è forse la cosa più importante, l’obiettivo deve essere quello di diminuire drasticamente l’evasione fiscale (manco a dirlo… senza remissione, nella sfera della mala gestione e sfruttamento del mattone): si vuole cercare di percorrere la strada di un’imposizione fiscale più corretta. Ci sembra lapalissiano che l’approccio a un rinnovamento simile debba essere il più organico e definitivo possibile. Ma a questo punto ci poniamo noi un quesito: dopo mille ipotesi di attuazione e altrettante modifiche alla legge, una tale riforma può essere quella ad hoc? Una risposta può essere in primis quella di contare fortemente in un ponderato taglio delle aliquote, o concedere al contribuente una clausola di salvaguardia, dove chi pagherebbe in maggior misura possa preferire, per quantificare le imposte, il sistema precedente. Il rischio di questa eventuale proposta, che come sottolinea Il Corriere della Sera è che ci possano essere incassi minori per l’Erario centrale e le casse comunali. Comunque, l’intento è quello di giungere a una tassazione più equa, facendo riferimento alle ultime dichiarazioni dei redditi.
Poi echeggia un ulteriore dilemma non da poco: quello degli immobili fantasma (già da noi riportato negli articoli del 2020/21). A partire da questo ultimo ventennio, l’Agenzia delle Entrate sta realizzando, con molto sforzo e con un lavoro certosino, una nuova mappatura catastale, soprattutto nei grandi centri, dei beni immobiliari (a detta di molti, però, è arduo stabilire sino in fondo un adeguato risultato finale); è certo inoltre, che nel 2012 si è conclusa la difficile impresa di accertamento di tutti gli edifici non risultanti al catasto (totalmente e nell’intero il territorio nazionale?). A proposito di ciò e è una cosa nota, il sistema si è dotato, fra le altre cose, di aerei e perfino droni per consentire alle mappe di accludere rilievi fotografici dall’alto; così facendo gli studi e le esplorazioni hanno rilevato la presenza di 2 milioni di “particelle catastali” non notificate in circa 1 milione di edifici: in molti casi si tratta, nemmeno a dirlo, di abitazioni abusive (dati del Sole 24 Ore).
Tale censimento è stato prodotto principalmente per ottemperare a un autorevole recupero fiscale di circa 600 milioni l’anno, dato soprattutto dall’evasione Imu. Da notare, e non è una novità, che di queste palesi evasioni, del tutto sanabili, sono attivate al catasto pochissime richieste in tal senso. Ma ritorniamo sul calcolo della base imponibile: il nostro pensiero è che strutturalmente per il cambiamento delle basi di calcolo per tutte le imposte riguardanti gli immobili, oltre a quanto già citato precedentemente, e sempre nel campo delle ipotesi (come già detto non c’è nulla di certo), sarà determinante l’indicazione dei metri quadrati al posto dei vani catastali. Il valore di reddito potrebbe essere affiancato da quello medio di mercato e le molte categorie catastali potrebbero essere drasticamente semplificate, fino al punto di cancellare la separazione tra case popolari e di lusso; a fare la differenza oltre al resto, potrebbe essere anche la fattura di acquisto e tipologia edilizia, cosa si vede dalle finestre (l’affaccio) e i servizi intorno allo stabile. E poi il valore unitario della propria categoria in una singola zona in base ai metri quadri: il tutto per cancellare il vecchio criterio dei vani catastali e la suddivisione in due gruppi, unità ordinarie e unità speciali, dove la differenza del parametro di conteggio potrebbe essere per le prime i metri quadri e per le seconde la superficie calpestabile. Indubbiamente tutto dipenderà dalle sinergie tra Comuni e Entrate.
Passando poi, all’argomento imposte specifiche (Imu, Tasi, Tari ecc.) dove la base imponibile viene determinata principalmente dalla rendita catastale, la prospettiva non è certo delle più rosee: diciamo prima di tutto che fino quando esisterà il principio della non tassabilità, a livello imposta immobiliare comunale, della prima casa, il pericolo non sussiste. L’esborso tributario riguarderà piuttosto gli immobili classificati come A1 (appartamenti di super lusso, castelli, case e ville di valore storico e artistico, ecc.). I famosi paletti non sono ancora stati messi, ma sfortunatamente la faccenda si farà triste sulle seconde case ai fini Imu e a fini Irpef, che come è noto, si applica se si possiedono due o più immobili nello stesso Comune, dove si risiede oltre l’abitazione principale. Per quanto riguarda spazzatura, occupazioni spazi pubblici, cartelloni pubblicitari, vetrine e così via, lì non ci sarà scampo a meno dell’applicazione di detrazioni e sconti vari; ruderi, case inabitabili o non terminate non dovrebbero in questa riforma entrare in “gioco”.
Concludiamo, auspicando e contando sulle promesse dell’Esecutivo e del Parlamento, di riforme economiche finalmente a favore della gente onesta, che lavora o che purtroppo è da questo punto di vista precaria, delle famiglie e dei meno abbienti, particolarmente sull’iniziativa governativa di riordino degli scaglioni Irpef, altrimenti sono grossi problemi per tutti…
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