L’esplosione della guerra scatenata dallo sciagurato presidente russo ha silenziato le tensioni politiche interne che tuttavia, non per questo, hanno cessato di ardere sotto la cenere. Una delle più calde resta quella sulla giustizia. Originariamente fissato per il 29 marzo, è slittato all’11 aprile l’approdo all’aula della Camera della riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura. Nonostante sia più volte stata richiamata, anche dal capo dello Stato, l’urgenza di approvare la riforma il prima possibile, nei giorni scorsi il provvedimento del Governo è stato letteralmente inondato di oltre 700 emendamenti e da qui la necessità del rinvio.
Come non bastasse, ad alimentare le tensioni ci si è messo pure il Csm, che in settimana ha approvato a maggioranza un parere fortemente critico nei confronti della proposta di riforma Cartabia. Il primo dato che se ne ricava è che l’appello al senso di responsabilità formulato dal presidente Mattarella in occasione del suo insediamento bis non sembra essere stato accolto, con magistrati e partiti che rimangono molto distanti su alcuni punti centrali della riforma.
Nel parere approvato dal plenum del Csm si stronca innanzitutto, sulla falsariga delle osservazioni già formulate su queste pagine, la nuova legge elettorale per i membri togati. Il sistema binominale maggioritario, anche secondo l’organo di autogoverno dei giudici, metterebbe a rischio l’indipendenza della magistratura e le minoranze non iscritte alle correnti più forti. I più drastici nell’esprimere la propria contrarietà sono stati i consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, secondo i quali il sistema proposto consentirebbe “il trionfo del correntismo e del bipolarismo, provocandosi ulteriori spaccature e conflitti”. Da segnalare che questa parte del documento è stata approvata per un soffio, con 13 consiglieri a favore e altrettanti contrari. A fare la differenza è così stato il voto decisivo del vicepresidente David Ermini, a conferma della forte spaccatura che caratterizza la magistratura in questo momento.
Positivo il giudizio sullo stop alle porte girevoli tra politica e giustizia, con una riserva espressa però sulla previsione che al termine del mandato elettorale (o dell’incarico di governo) i magistrati possano essere assegnati all’ufficio del Massimario della Cassazione, uno dei posti più ambiti, “al quale si accede all’esito di un concorso per merito, anzianità ed attitudini”: l’effetto quindi sarebbe “illogicamente premiale” nei confronti di chi si candida, si legge nel documento approvato.
Molto criticata, come facilmente prevedibile, è risultata anche la previsione dell’introduzione delle “pagelle” ai magistrati sulla capacità di organizzare il proprio lavoro – graduate in “discreto, buono, ottimo” – che secondo il parere dei più porterebbe ad una inammissibile classifica tra magistrati dell’ufficio e che potrebbe “finire per stimolare quel carrierismo che la riforma vorrebbe invece eliminare”. Quando si dice l’autoreferenzialità.
Altro aspetto di grande tensione è quello che attiene all’introduzione di un nuovo illecito disciplinare per punire i magistrati che non si attengono alle nuove regole sui rapporti con la stampa, previste dal decreto legislativo sulla “presunzione d’innocenza” in vigore dal dicembre scorso. Il Csm, su proposta dei consiglieri togati della corrente progressista di Area, segnala alla ministra che il nuovo illecito “presenta notevoli criticità con riguardo alla garanzia di indipendenza dei magistrati del pubblico ministero”. Il divieto per i pm “di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio” è “un divieto amplissimo, che involge qualsiasi dichiarazione e su qualsiasi procedimento, anche quelli definiti e anche quelli non trattati dal magistrato”, e quindi “palesemente irrazionale”.
Come si accennava all’inizio, anche il fronte parlamentare si palesa non meno caldo. Dovranno infatti essere esaminati circa 700 emendamenti: 68 subemendamenti sono stati presentati da Enrico Costa di Azione, 60 dalla Lega, 52 da Forza Italia, 45 da Fratelli d’Italia, 38 dal Movimento 5 Stelle, 31 da Alternativa, 30 da Italia Viva, 8 da Coraggio Italia e 95 dal Misto. Il tenore della quasi totalità degli emendamenti proposti va, combinazione, nella direzione opposta alle osservazioni formulate dal Csm.
Una delle modifiche proposte dalla Lega e da Forza Italia riguarda l’introduzione del sorteggio temperato per l’elezione dei membri togati del Csm, cioè il sorteggio di una rosa di candidati pari a un multiplo dei componenti da eleggere. Scelta che si paleserebbe sicuramente più coraggiosa di quella assunta dal governo e rispetto alla quale, a differenza di quanto paventato da molti, non aleggerebbe alcun problema di incostituzionalità. Forza Italia ha depositato anche un emendamento per introdurre, con eccesso di enfasi mediatica, una forma da alcuni definita light di “separazione delle carriere” tra giudici e pubblici ministeri, prevedendo che il magistrato possa passare da una funzione all’altra una sola volta e soltanto nei primi cinque anni di carriera. In realtà il testo Bonafede, confermato dagli emendamenti Cartabia, prevede già la limitazione al numero massimo di passaggi di funzioni, comunque rarissimi nella pratica, da quattro a due.
Uno dei due relatori della proposta di riforma, ovvero il tesoriere del Pd Walter Verini, ha dichiarato che la riforma può e deve essere migliorata, ma non può essere stravolta, aggiungendo che va cercata la massima condivisione.
Proprio il tema di una vera condivisione, già palesatosi in sede di lavori del governo, ritorna quindi centrale. Non sembra difficile prevedere, infatti, che la riforma avrà una vita parlamentare molto difficile e sofferta, in cui la ricerca della condivisione sarà di estrema difficoltà. La proposta di riforma sembra scontentare tutti, il che potrebbe anche essere un buon sintomo di efficienza della stessa. Ma le criticità sono davvero rilevanti e le varie posizioni in capo alquanto distanti, mentre resta sullo sfondo la necessità di eleggere il nuovo Csm con le nuove regole, oltre che di rispettare il famoso cronoprogramma del Pnrr.
Il Parlamento è rimasto ingessato per ben otto mesi in attesa dell’iniziativa del governo, che si auspicava potesse essere accompagnata da un maggior indice di condivisione. Il premier Mario Draghi aveva detto di non voler porre la fiducia sul testo, ma è probabile che i tempi strettissimi potrebbero indurre ad una sorta di scelta obbligata.
Francamente non il miglior viatico per un sistema giustizia sempre più in crisi e sempre più bisognevole di una sana boccata d’aria nuova, frutto di una rinnovata condivisione delle sue scelte essenziali.
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