L’unica certezza, per ora, è che la riforma dell’ordinamento giudiziario si farà, e in tempi brevi. Le cronache dicono che oggi il Governo darà il via libera alla proposta elaborata dal ministro Cartabia.

 Le difficoltà a trovare la quadra sulle questioni che sono sul tappeto sono però molte perché molti sono gli interessi in gioco.



Da una parte il Governo che, soprattutto dopo il severo monito del capo dello Stato, deve portare a compimento una riforma che consenta di restituire credibilità e prestigio ad una magistratura in netto calo di consensi. Dall’altra le forze politiche, che hanno finalmente l’opportunità di approvare modifiche in un settore, quello della giustizia, ove da sempre erano “bloccate” da un’evidente sudditanza rispetto alla magistratura. E infine l’Anm, l’associazione che rappresenta il 90% dei giudici italiani che, naturalmente, come soggetto direttamente interessato, non vuole subire riforme sgradite alla propria categoria.



I punti critici su cui occorrerà trovare una sintesi sono tre.

La prima è la riforma del meccanismo elettorale del Csm, l’organo di autogoverno della magistratura. L’obiettivo è evitare che le nomine siano esclusivamente oggetto di accordi tra le correnti con conseguente impossibilità per candidati indipendenti, anche autorevoli, di essere eletti. Sono in lizza diversi sistemi elettorali (maggioritario, proporzionale, maggioritario con correzione proporzionale…), ma sembra che nessuno di questi metta al riparo dalla temuta spartizioni delle nomine. Il Governo sembra non dare più chances a quello che per molti  sarebbe l’unico rimedio e cioè il sorteggio. Secondo alcuni sarebbe incostituzionale perché la Carta fondamentale dice che i membri del Csm devono essere “eletti”. Alcuni esperti hanno pensato allora al “sorteggio temperato”: si estraggono a sorte alcuni nomi tra i magistrati più autorevoli e poi si procede alle elezione tramite votazioni. Anche molti  magistrati, oltre il 42% di quanti hanno votato in un recente sondaggio promosso dall’Anm, gradirebbero questa opzione.



C’è poi la questione delle “porte girevoli”, i magistrati cioè che partecipano ad elezioni politiche o amministrative e poi tornano a fare i giudici.  La polemica è diventata rovente dopo che il Pm di Napoli Catello Maresca si è candidato a sindaco, ma, non eletto, ha comunque accettato di fare il consigliere comunale pur continuando a indossare la toga, sia pure in un altro tribunale.

È evidente che la terzietà di un magistrato è messa in crisi dalla militanza in un partito e quindi, secondo alcuni, finita l’esperienza politica, gli dovrebbe essere impedito di tornare a fare il giudice. La proposta del Governo sembra essere però meno drastica: se il magistrato che ha partecipato ad una consultazione politica o amministrativa è stato eletto, deve aspettare cinque anni prima di rimettere la toga, mentre ne deve aspettare solo tre se non è stato eletto. Addirittura potrebbe tornare subito ad indossare la toga il magistrato che ha ricoperti incarichi di governo nazionale (ministro, sottosegretario) o territoriale (assessore) per nomina diretta, quale tecnico, senza aver partecipato a competizioni elettorali. E qui già infuria la polemica sollevata da chi ritiene che si tratti di una norma assolutamente ingiustificata e introdotta ad personam per salvare un sottosegretario in carica.

E infine i Consigli giudiziari, gli organismi territoriali composti da giudici e dai cosiddetti “laici” (avvocati e professori universitari) che inviano al Csm le valutazioni di professionalità dei magistrati e i pareri sulle candidature a ricoprire incarichi dirigenziali. Oggi i laici non hanno diritto nemmeno di partecipare alle discussioni su dette valutazioni che, come è emerso di recente, sono improntate a  giudizi sempre positivi e acritici. La proposta del Governo sembra essere quella di riconoscere al Foro il diritto di dire la propria e di partecipare alle discussioni e al voto, previo però interpello dei Consigli dell’Ordine onde evitare personalismi e conflitti di interessi.

Queste le prime indiscrezioni sugli intendimenti del Governo. Ora si apre il confronto – o lo scontro – con i diversi soggetti interessati, per poi trovare una sintesi in tempo utile per affrontare le prossime elezioni del Csm (a luglio) ed evitare i referendum che, se ritenuti ammissibili dalla Corte costituzionale (la decisione è prevista per il 15 febbraio),  proprio su questi temi chiameranno il popolo a dire la propria.

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