Alla fine, come previsto, ha prevalso la ragion di Stato. In ossequio agli impegni assunti con l’Europa e sulla scia dell’esito referendario non proprio esaltante, è diventata legge la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Ieri, infatti, dopo un lunghissimo cammino partito ben tre anni or sono come diretta conseguenza dello scandalo Palamara, il Senato, con 173 voti a favore, 37 contrari e 16 astenuti, ha approvato il testo che era stato già approvato alla Camera dei Deputati, suscitando l’orgoglioso commento della ministra Cartabia secondo la quale “si è così realizzato l’impegno di trasformare in legge un provvedimento che è stato costruito con il contributo di molti”, ma che, bizzarramente, risulta indigesto a moltissimi.
Sul piano politico la riforma ha ricevuto il voto contrario di FdI e l’astensione del partito di Renzi, mentre è stata votata, turandosi il naso, dalla Lega, che pure aveva cercato di rallentarne l’approvazione nei giorni precedenti, suscitando più di qualche mugugno all’interno della maggioranza di governo. Fra gli addetti ai lavori, come più volte anche da queste colonne si è evidenziato, i mal di pancia sono ancora più nutriti, regnando la diffusa e trasversale percezione, al netto dei tecnicismi, che assai poco si è inciso sul tema cruciale della degenerazione delle correnti.
La magistratura silenziosa appare la più delusa. Nelle varie chat regna un senso di sconfitta. Forse anche di forte spaccatura interna se si pensa che i giudici addetti agli affari civili mostrano un certo disinteresse mentre i loro colleghi che si occupano della giurisdizione penale si palesano affranti. Qualcuno scrive che quello di oggi (ieri per chi legge) sia uno dei giorni peggiori della storia giudiziaria italiana, altri esprimono sconcerto e un forte senso di delusione, che spinge talaltri a coltivare desideri di abbandono della toga.
Sentimenti questi a cui sembra dar corpo uno dei pm più noti, ovvero il dottor Gratteri, che notoriamente non è iscritto a nessuna corrente; circostanza che può essere ritenuta per molti versi illuminante.
A ogni modo, fra le novità introdotte dalla riforma, merita di essere menzionata la legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura che avverrà con un sistema misto, binominale con quota proporzionale e che vedrà una nuova composizione del plenum. Il fulcro della modifica del sistema elettorale è la mancata previsione della necessità di presentazione delle liste poiché saranno possibili unicamente candidature individuali, senza necessità di presentatori, a livello di collegio binominale. Altra novità è rappresentata dalla previsione che ove non arrivino candidature spontanee o non si garantisca la parità di genere, si dovrà integrare con sorteggio per arrivare al minimo dei candidati previsti. Un sorteggio previsto anche per riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato.
La riforma che riguarda invece l’ordinamento giudiziario prevede poi il divieto di esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e governativi, com’è stato invece sinora possibile. Questo divieto vale sia per cariche elettive nazionali e locali; sia per gli incarichi di governo nazionali/regionali e locali. L’altro punto chiave della riforma, molto sofferto dalla magistratura, è rappresentato infine dall’introduzione di un “fascicolo per la valutazione” che dovrà contenere i dati statistici sulla produttività, l’accoglimento delle richieste (per i pm) e la conferma delle decisioni (per i giudici). Principalmente su tale aspetto, insieme all’ulteriore restrizione della possibilità di cambiare funzioni, si era incentrata la protesta dei magistrati che aveva prodotto lo sciopero dello scorso 16 maggio; protesta che evidentemente alcun riscontro ha ricevuto dalle forze politiche, che hanno al contrario palesato un sostanziale disinteresse agli argomenti veicolati dall’Associazione nazionale magistrati.
Fra le forze politiche si è tuttavia registrato l’intervento di chi, ci riferiamo alla Lega, ha in extremis cercato di far saltare il tavolo, chiedendo, e ottenendo, di procedere a scrutinio segreto su un emendamento che portava le firme di tutti i senatori leghisti in commissione Giustizia, ma che non riguardava l’ordinamento giudiziario né il Csm, bensì la disciplina delle misure cautelari. Il testo ricalcava quello del relativo referendum e prevedeva l’impossibilità di applicare la custodia preventiva per il rischio di reiterazione del reato, sicché, trattandosi di una norma in materia di libertà personale, ha consentito di chiedere il voto segreto, nonostante l’estraneità all’oggetto del provvedimento.
Nonostante il voto segreto, il blitz è stato tuttavia bocciato con 136 voti contrari, 70 favorevoli e 9 astenuti e così, come detto, la riforma del Csm è diventata legge, con il successivo voto favorevole della stessa Lega che poi, per bocca della senatrice Bongiorno, ha dato appuntamento alla prossima legislatura per una radicale riforma costituzionale della giustizia, in grado di archiviare per davvero lo scandalo Palamara.
In fondo, l’esito dei referendum ha dimostrato che gli italiani hanno adesso ben altre priorità. E forse non hanno poi tutti i torti.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.