Lo schema di disegno di legge recentemente licenziato in materia “ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità, di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”, viene trionfalmente ribattezzato “Spazza-correnti”. Ci risiamo. Neanche il tempo di “spazzare” via i corrotti, fra cui (presuntamente) il quasi ex giudice Palamara e il governo si accinge a varare un’altra imponente opera di ripulitura.
Purtroppo lo schema sembra ripetersi beffardamente. Allo strepitio delle trombe non sembra corrispondere la sostanza dell’intervento varato.
La straordinaria occasione offerta dall’emersione pubblica del degenerato sistema delle correnti, che in più occasioni abbiamo definito più propriamente uno “scontro fra bande”, rappresentava una irripetibile opportunità per ribaltare il sistema di funzionamento dell’organo di autogoverno della magistratura italiana. Invece “la scoperta della più purulenta cancrena della quale è affetta la magistratura associata dal dopoguerra ad oggi viene curata con uno spruzzo di acqua ossigenata”, come osserva acutamente Andrea Reale sul Fatto Quotidiano.
Una prima riflessione va formulata su quanto è emerso dalle indagini perugine con la proposizione di una domanda forse banale nella sua semplicità: la trama che accompagnava le nomine del Csm come emergono dagli atti di indagine non integrano alcuna fattispecie penale? Il sistematico accantonamento del merito a favore dell’appartenenza correntizia non costituisce alcuna ipotesi di condotta penalmente rilevante trattandosi di nomine di rilevanza pubblica?
La seconda riflessione è invece indirizzata al futuro, ovvero al merito del disegno di legge. Ebbene, la proposta formulata dal governo non ci sembra in grado di colpire la tanto decantata degenerazione correntizia.
Cerchiamo di spiegare il perché orientandoci in una proposta di sistema che non è di facile lettura. Il divieto di costituzione di gruppi tra i suoi componenti per consentire ad ogni singolo membro togato di esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza ed imparzialità è vanificato dalla legge elettorale escogitata, che per fronteggiare la patologia si rivela il più triste dei pannicelli caldi.
L’aver ipotizzato la soglia del 65% delle preferenze in ciascun collegio sembra francamente favorire, e non poco, i potentati correntizi soprattutto locali. Ove poi non si arrivasse a quella soglia, il ballottaggio ipotizzato tra i quattro maggiormente votati al primo turno, con l’aggiunta che ogni elettore potrebbe esprimere fino a quel numero di opzioni ma con tanto di voto “ponderato” (ossia la possibilità che le preferenze accordate abbiano pesi specifici diversi: il primo voto varrà uno, gli altri 0,90, 0,80 e 0,70), appare un meccanismo astruso più che ingegnoso, e destinato a favorire facili accordi sottobanco.
Con questo meccanismo elettorale è ridotta al lumicino la possibilità che un candidato indipendente possa riuscire nell’impresa di sedersi al Csm.
A fronte di tutto ciò, l’introduzione del pre-sorteggio sembra più che altro il tentativo di dimostrare di aver dato ascolto ad uno slogan e di rassicurare chi pretendeva che il governo si “sporcasse” davvero le mani, imponendo una seria riforma della legge elettorale del Csm.
Ci sembra di poter affermare, allo stato delle cose, che il meccanismo ipotizzato consente ai gruppi associati della magistratura una divisione scientifica del voto per territori, tramite accordi e spartizioni, così da non intaccare più di tanto quel potere interno della magistratura associata di cui oggi tutti si lamentano e che non si può certo far finta di non vedere. In compenso – con la solita truffa delle etichette – si cerca di far contento il popolo.
Siamo in presenza di un compromesso di basso profilo. Senza perdere la speranza che qualcosa di più serio possa essere fatto in sede parlamentare, come ripetiamo e auspichiamo da tempo, ciò che più di ogni altra cosa manca in questo momento è una visione ad ampio raggio, un progetto serio che si poggi su uno studio approfondito e un progetto di sistema, in grado quanto meno di provare ad invertire questa rotta nefasta.