Riforma degli istituti tecnici italiani. L’obiettivo è quello di potenziare le “discipline d’indirizzo” e sviluppare “competenze coerenti” con le esigenze dei contesti territoriali e produttivi di riferimento. Inoltre, lo scopo è quello i favorire il collegamento con il mondo del lavoro, dando possibilità agli studenti di fare l’esperienza dell’alternanza fin dal secondo anno. Nel frattempo, si vuole puntare anche sulla spinta all’internazionalizzazione, introducendo la metodologia Clil dell’insegnamento in lingua inglese di una disciplina non linguistica a partire dal terzo anno.
La riforma prevede anche l’utilizzo delle ore di compresenza con l’impiego di conversatori in lingua straniera, in affiancamento ai docenti di lingua e dei docenti delle discipline di indirizzo. La bozza di regolamento prevede in tutto 5 articoli e punta a rilanciare gli istituti tecnici in attuazione del Pnrr. Il Dpr ha ottenuto il parere favorevole del Cspi, organo tecnico-consultivo del ministero dell’Istruzione e del merito. Ora le ultime limature prima di cominciare l’iter per il varo finale, spiega Il Sole 24 Ore.
Riforma degli istituti tecnici: novità dal 2025/2026
Le novità per gli istituti tecnici potrebbero entrare in vigore nell’anno scolastico 2025/2026 mentre a settembre 2024 dovrebbe esserci la sperimentazione dei percorsi 4 anni di scuola secondaria + 2 di Its Academy della filiera formativa tecnologico-professionale. Gli istituti tecnici sono frequentati dal 31,7% della popolazione scolastica ma l’obiettivo del governo è quello di aumentare la platea. Grazie al provvedimento, il nuovo assetto didattico basato su competenze e progettazione interdisciplinare, potrebbero esserci nuove iscrizioni e un appeal maggiore.
Dovrebbe esserci un’area di istruzione generale nazionale e un’area di indirizzo flessibile, comprensiva di un’eventuale area territoriale. Il primo biennio assolverà all’obbligo di istruzione, introducendo gli elementi fondanti per il successivo triennio. Nel secondo biennio lo scopo sarà quello di promuovere l’acquisizione di conoscenze e abilità professionalizzanti. Infine, al quinto anno, un maggiore collegamento con il mondo del lavoro. Qui, la quota di autonomia di ciascun istituto salirebbe dal 20 al 25%, spiega Il Sole 24 Ore.