Il nuovo Governo ha avuto la fiducia da Camera e Senato. Per la sua composizione vi sono stati scontri al fine di occupare caselle importanti, ma nessuno è stato causato dalla richiesta di avere le deleghe su lavoro e welfare. La ministra prescelta è sicuramente esperta del settore e forse per questo indicata all’incarico dal Primo ministro ha raccolto il consenso anche delle altre forze di maggioranza.



È ancora presto per valutare un programma di iniziativa preciso per quanto riguarda il settore lavoro. Sulla base del programma elettorale pensioni, Reddito di cittadinanza e politiche attive assorbono buona parte delle indicazioni di lavoro. Come già sottolineato nell’articolo a commento del programma di FdI, anche l’aumento dei limiti del contante era indicato come una misura legata a un rilancio dell’economia. Non mi pare che sia questo l’effetto vero che si otterrà ed è certo invece che arriverà un messaggio sbagliato all’economia nera e grigia che ha un peso ancora troppo alto nel nostro sistema.



Il discorso tenuto dal Premier per la richiesta del voto di fiducia non è andato molto oltre le proposte contenute nel programma elettorale. Le parti riferite al settore lavoro hanno ripreso i temi della campagna pre-voto senza avanzare indicazioni già operative. Per questo il richiamo a mettere mano alle uscite pensionistiche somma l’indicazione di una diminuzione dei vincoli rispetto alla “Fornero” con l’aggiunta che si dovrà comunque rispettare l’equilibrio economico di sistema. Si indica la necessità di intervenire sulle limitazioni poste ai contratti a termine e sui voucher, ma non le linee con cui si intende intervenire.



Per quanto riguarda il salario minimo non se ne parla. Se ciò significa un’impostazione che tende a valorizzare il confronto con le rappresentanze sindacali è da accogliere come una silenziosa ma buona notizia. Il richiamo al metodo del dialogo con i corpi intermedi e la proposta di avviare tavoli di confronto con i rappresentanti delle categorie produttive, delle imprese e dei lavoratori, viene peraltro fortemente richiamato per quanto riguarda le misure per lo sviluppo economico.

Con fermezza è stata ribadita la scelta di riformare il Reddito di cittadinanza. Non è stato detto ignorando il tema della crescita delle povertà e della necessità di avere misure di welfare che servano di risposta ai bisogni. È uno strumento da riformare perché si è dimostrato inefficace verso chi ha possibilità di lavorare e non ha dato copertura alle reali sacche di povertà. L’impostazione indicata per la revisione appare significativa. È un po’ il ritorno alla separazione fra indennità di disoccupazione e reddito di inclusione che erano stati indicati nel Jobs Act. È la giusta separazione fra gli strumenti di sostegno al reddito per chi sta vivendo o subendo una fase di transizione sul mercato del lavoro e coloro che invece necessitano di sostegno al reddito per affrontare altre fragilità, sociali, di salute o di inclusione, che determinano anche in parte o in toto la possibilità di lavorare.

Se la nostra interpretazione è giusta ci permettiamo di avanzare qualche suggerimento su come intervenire almeno per quanto riguarda il lato lavoro. Vi è la necessità di arrivare velocemente a disegnare un sistema universalistico dei servizi al lavoro partendo da una profonda riforma degli strumenti passivi. La Cig va ricondotta ai soli processi di trasformazione produttiva, mentre per ristrutturazioni, chiusure o licenziamenti e per tutte le transizioni che riguardano chi cerca lavoro va definito uno strumento unico di sostegno al reddito abbinato a percorsi di politiche attive che sostengano la ricollocazione di tutti coloro che sono stati presi in carico.

Con questa impostazione si rompe alla radice la confusione fra misure di sostegno per chi cerca lavoro e reddito da assicurare a chi ha fragilità che non gli permettono di svolgere un’attività lavorativa. Il sostegno a questi deve vedere la partecipazione delle amministrazioni comunali perché il sostegno al reddito non otterrebbe i risultati voluti senza un impegno coordinato con i servizi sociali del territorio.

Nel caso delle transizioni sul mercato del lavoro il sostegno al reddito va gestito assieme ai servizi di politica attiva del lavoro che servono per assicurare percorsi formativi di adeguamento delle competenze individuali per favorire nuovi inserimenti lavorativi. La spinta deve essere quella di favorire la crescita del tasso di occupazione prosciugando i casi di abuso del reddito pubblico per sottrarsi al diritto al lavoro.

Per sostenere questo cambiamento di modello nelle politiche attive del lavoro va fatto tesoro delle esperienze di questi anni e ridisegnare la rete di servizi. Prendiamo atto di alcune lezioni della realtà: i Centri per l’impiego esistenti non riescono ad andare oltre i compiti amministrativi per cui sono nati. Aggiungere personale senza ribaltarne capacità e funzioni si è dimostrato uno spreco di risorse umane e materiali. Restino come supporto amministrativo della rete territoriale Anpal, ma abbandoniamo l’idea che possano dirigere le politiche attive.

I navigator sono stati un fallimento, ma a oggi sono i pochi dipendenti pubblici che hanno avuto una formazione specifica per favorire l’incrocio fra domanda e offerta di lavoro. Si strutturi allora partendo da loro e dalle esperienze fatte con molti progetti di Anpal Servizi una rete di operatori dedicati alle politiche attive che collabori con le Agenzie per il lavoro e gli operatori accreditati. Così sarà possibile fare decollare in tempi rapidi una reale rete di servizi al lavoro, farle diventare la sperimentazione di Gol e l’avvio di un sistema di servizi al lavoro rivolto universalmente a tutti i cittadini nella fase del bisogno.

A supporto della rete dei servizi serve un sistema informativo unico e i modelli lep (livelli essenziali delle prestazioni) per i diversi servizi. È il lascito positivo di Garanzia giovani che ha permesso di gestire una politica nazionale pur con il rispetto delle competenze Stato-Regioni disegnato dal Titolo V della Costituzione. Un’agenzia nazionale avrebbe così una piena funzione di gestire sostegni a al reddito di chi cerca lavoro e insieme assicurare i percorsi che portino al recupero dell’autonomia economica.

Oggi di fronte alle difficoltà a trovare lavoro, e che sia dignitoso, non c’è un punto in cui incontrare specialisti che si prendano in carico la persona e il suo bisogno. Superiamo velocemente i vincoli burocratici per aprire una nuova stagione che dia ai servizi al lavoro la stessa dignità dei servizi alla salute.

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