Le notizie che tengono banco questa settimana sono la rissa che ha chiuso l’ultima seduta della commissione Finanze della Camera e le dichiarazioni del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini sulla consistenza del magazzino dei crediti fiscali inesigibili. La prima notizia, al netto del luogo dell’accadimento, potrebbe essere ricondotta alle discussioni da bar dove si fronteggiano due gruppi di tifosi che non si trovano d’accordo su come sia andata la partita e sul ruolo dell’arbitro.



Nel caso di specie c’è una sola squadra in campo, l’Italia, per cui è evidente che agli attori della rissa manca la visione del Paese. La conclusione è ancora peggiore se si considera che siamo ancora nel bel mezzo della pandemia a cui si è aggiunto il confitto bellico. Entrambe le situazioni, Covid e guerra, fanno emergere che alla politica manca la maiuscola. Il Presidente della commissione Finanze ha fischiato la fine rinviando ogni decisione all’arbitro Draghi che dovrà dirimere anche questa questione. 



Si dirà che è stato chiamato per questo! Senz’altro vero, ma allora la politica non ha imparato e, quindi, ci vorrebbe un ricambio o si pensa di congelare le posizioni? Il Presidente Draghi chiamato a rispondere sulla delega fiscale ha chiarito e ha usato la metafora del condizionatore ribadendo che il Governo non ha alcuna intenzione di aumentare le tasse, non toccherà le case degli italiani e lo stesso sarà per affitti e risparmi. 

È ovvio che il tema è ancora una volta quello delle riforme che vede la politica impegnata a lottare per un obiettivo di breve periodo e tutto ciò mette in discussione anche un pezzo di Pnrr che annovera la delega fiscale fra gli obiettivi generali del Piano. La metafora del condizionatore segue l’affermazione del ministro Cingolani sulla necessità di ripensare al no al nucleare e va vista in un conteso di visione strategica non limitata al facile sberleffo. 



Il banchiere Mattioli, in uno scritto rinvenuto nelle carte custodite presso la segreteria di Mediobanca, nello scrivere a Cuccia diceva: “Ricorro col pensiero a quella lunga vigilia che fu l’inverno 1943-44, quando si conversava e si discuteva più per tener desta e insieme distratta la mente che nella fiducia di potersi tosto fare qualcosa; e quando, pure in tanta incertezza di prospettive e persino di sopravvivenza, nacque l’idea di Mediobanca e delle sue funzioni, possibilità e significato, certo, e non solo sul piano pratico degli affari, ma per quello di una visione più ampia e fiduciosa dello sviluppo del nostro Paese”. Se si ritorna al tema della riforma fiscale appare lampante la mancanza di una visione. Il contrasto tra le tesi contrapposte è lunare perché entrambi gli schieramenti hanno ragione, ma allo stesso tempo hanno torto.

Le risorse di uno Stato provengono dal sistema fiscale che tuttavia deve essere in grado di garantire la crescita della ricchezza, la redistribuzione della stessa e, dunque, disegnare il Paese che si vuole per i prossimi cinquant’anni. Sono questi aspetti sottolineati da Mattioli che mancano alla politica e si ritrovano puntualmente nella seconda delle notizie che tengono banco in questi giorni, ovvero la montagna di tasse, multe e contributi non recuperati che continua a crescere e ha superato il tetto di 1.100 miliardi di euro. 

La denuncia arriva dal numero uno di Agenzia Entrate ed Entrate Riscossione, non è nuova ed è tanto vera quanto devastante è la sua veridicità. Anche un anno fa, proprio nello stesso periodo, il tema fu bollato come irricevibile perché per qualcuno affrontarlo significherebbe operare un condono e di condoni non se ne parla. Ora come allora si vuole evitare di affrontare il fallimento del sistema fiscale, entrate e riscossione, disegnato da decenni di interventi sconnessi che di fatto rallentano la crescita e aumentano i costi inducendo inefficienza nel sistema produttivo italiano sempre più spinto verso altri Paesi. Lo stesso Direttore Ruffini, incalzato sul tema riforma del catasto, ha sottolineato come l’attività di aggiornamento degli estimi proceda precisando che spetterà al Parlamento decidere sugli effetti dell’aggiornamento che al momento sono congelati al 2026. 

In sostanza il dibattito in atto si è impantanato e rimane sospeso il motivo del contendere. Nella realtà il contrasto sembra insistere sul principio duale che dovrebbe caratterizzare il nuovo sistema fiscale che dovrebbe essere basato sulla differenziazione della tassazione sui redditi da lavoro e pensione da operarsi con aliquota progressiva dalla tassazione degli altri redditi da assoggettare a tassazione proporzionale che per il Governo dovrà muoversi su due aliquote, con buona pace in sostanza delle cedolari come quelle sugli affitti al 10% o quella al 26% sulle rendite finanziarie. 

È evidente che il dibattito è surreale e lo diventa ancora di più con la proposta della patrimoniale avanzata dai sindacati. Le riforme vanno fatte guardando oltre la prossima scadenza elettorale, altrimenti conviene anticipare la stessa non essendo più procastinabili le scelte da fare. Rimane il dubbio che la prossima tornata elettorale porti all’affermazione della Politica per cui il Premier Draghi dovrà intervenire con decisione anche a costo di allontanare dal tavolo chi rema contro.

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