Risparmi, affitti, immobili: la delega fiscale a cui sta lavorando il governo nasconde una stangata fiscale? A sostenerlo sono i partiti di centrodestra che fanno parte della maggioranza, Lega e Forza Italia, che oggi incontreranno il premier Mario Draghi proprio per discutere e cercare di sbrogliare una matassa molto ingarbugliata.
Sul banco degli imputati ci sono due articoli: oltre all’articolo 6, relativo alla riforma del catasto, a provocare l’altolà di leghisti e azzurri è anche l’articolo 2, là dove si legge che la tassazione su Bot e affitti prevede “l’applicazione, a regime, della medesima aliquota proporzionale di tassazione e, in via transitoria, di due aliquote di tassazione proporzionale, ai redditi derivanti dall’impiego del capitale, anche nel mercato immobiliare”.
Un passaggio che potrebbe aprire a possibili adeguamenti all’insù delle aliquote, agevolate o flat, con cui oggi in Italia vengono tassati i titoli di Stato e gli affitti? Per cercare di far luce sulla reale “pericolosità” – per le tasche dei cittadini contribuenti italiani – di questo enunciato abbiamo interpellato Marco Allena, professore ordinario di diritto tributario nell’Università Cattolica di Piacenza.
Sulla tassazione delle rendite finanziarie il governo vuole procedere verso un “sistema compiutamente duale” dove i redditi derivanti dall’impiego di capitale sono tassati in modo proporzionale. In concreto, cosa significa?
I redditi di capitale sono già tassati in misura proporzionale. L’aliquota dei cosiddetti redditi della finanza – redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria – è per tutti pari al 26%. Poi oggi c’è l’agevolazione sulla tassazione dei titoli di Stato, tassati al 12,5%, ma, a quanto è dato capire dalla delega, il Governo avrebbe l’intenzione di andare verso la sua abolizione, anche se non sono ancora chiari i tempi.
È stato infatti lanciato un allarme stangata fiscale su risparmi, titoli di Stato, affitti, immobili: il governo potrà davvero mettere le mani nelle tasche degli italiani?
La delega di per sé ha dei tempi lunghi, quindi escluderei categoricamente che avremo inasprimenti fiscali a breve-medio termine, anche perché di tutto ha bisogno il sistema-Paese di questi tempi tranne che di un aumento delle tasse. E su questo punto è stato netto anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, quando l’anno scorso, poco dopo la sua nomina, alla richiesta in Parlamento su cosa pensasse in merito a eventuali imposte patrimoniali o incrementi delle imposte di successione rispose chiaramente che non era assolutamente questo il momento di aumentare la pressione fiscale.
E sul lungo termine?
Non si sa. Ma è giusto ricordare che il nostro sistema fiscale ha già un livello medio di imposizione molto elevato e mi vien difficile immaginare inasprimenti.
In base all’articolo 2 della legge delega, la progressiva e tendenziale evoluzione del sistema verso un modello compiutamente duale dei redditi di capitale dovrebbe avvenire anche tramite “l’applicazione, a regime, della medesima aliquota proporzionale di tassazione e, in via transitoria, di due aliquote di tassazione proporzionale, ai redditi derivanti dall’impiego del capitale, anche nel mercato immobiliare”. Questo passaggio apre a un possibile adeguamento all’insù delle aliquote agevolate o flat con cui vengono tassati i titoli di Stato e gli affitti?
È così, ma pro futuro.
Ci sono criteri oggettivi in base ai quali vengono fissate le aliquote proporzionali?
Le aliquote delle imposte sostitutive rispondono semplicemente a criteri di logica, tenendo conto ovviamente del gettito, perché ogni punto percentuale in più o in meno produce effetti molto significativi sul gettito fiscale. Quando vengono proposte riforme di questo tipo, si hanno ben presenti i calcoli elaborati in tal senso dalla Ragioneria dello Stato.
C’è chi dice che potrebbe essere utilizzato come parametro generale il 23%, cioè l’aliquota del primo scaglione Irpef. È plausibile?
Può essere un criterio come altri per esemplificare o dare un’indicazione, ma non è un criterio rigido. La scelta è rimessa alla discrezionalità politica.
I partiti di centrodestra hanno ragione a temere la scomparsa delle tasse piatte, come la cedolare secca sugli affitti?
La cedolare secca sugli affitti, come tutti i regimi di tassazione ad aliquota fissa sulle rendite finanziarie, ha dimostrato di funzionare bene, nel senso che ha consentito l’emersione di un gran numero di contratti di locazione non registrati proprio per motivi fiscali, favorendo così la ripresa del mercato. D’altra parte stiamo andando verso una Irpef che non è più l’imposta unitaria progressiva su tutti i redditi, ma è un’imposta che a sua volta consta di diversi regimi. Oggi nell’Irpef troviamo diverse modalità di tassazione di redditi diversi e di questo la delega dovrebbe tenere conto.
E potrebbe essere imminente un aumento dell’aliquota sui titoli di Stato?
Secondo me no. Anche se l’ipotesi viene menzionata, non è certo tra le priorità in cima all’agenda, perché – ripeto – il sistema di tassazione dei redditi di capitale al momento funziona abbastanza bene. Il problema piuttosto è un altro.
Sta pensando al nodo della riforma del catasto?
Esattamente, ma non solo. Oltre a concentrare la discussione sulle aliquote dell’Irpef – anch’esso un tema divisivo e di forte impatto politico, su cui è difficile che partiti della maggioranza tanto diversi possano trovare unità di intenti – proprio il catasto è diventato lo snodo che ha acceso le polemiche attorno alla delega fiscale.
Tutta colpa dell’articolo 6?
Su questo articolo il Parlamento è diviso in due: parte della maggioranza, governo in testa, ritiene che abbia ad oggetto esclusivamente un aggiornamento del catasto; altre forze politiche e tutto il mondo legato all’economia immobiliare teme invece fortemente che da questa riforma possa derivare in futuro un aumento delle rendite catastali e quindi della tassazione sugli immobili.
Timore fondato?
Sebbene l’articolo 6 non parli espressamente di questi aumenti, è altrettanto vero che la norma si guarda bene dal menzionare la cosiddetta invarianza di gettito. Ed è proprio questo l’oggetto della polemica politica. I contrari infatti sostengono che la delega metta le mani avanti fino al 2026, dopo di che, però, potrebbe bastare una legge ordinaria, che è ovviamente nelle facoltà di una qualsiasi maggioranza politica, per utilizzare i nuovi dati catastali al fine di innalzare le rendite e le imposte sugli immobili. Il punto è che in Italia c’è una sorta di mistificazione sul tema della tassazione degli immobili.
In che senso?
È luogo comune dire che gli immobili in Italia siano poco tassati ed è luogo comune dire che la Ue, l’Ocse, gli organismi internazionali ci impongano un aumento della tassazione per adeguarci a quello che farebbero gli altri Paesi.
Non è così?
Da un punto di vista oggettivo, non è affatto vero. Gli immobili in Italia non sono agevolati, anzi la tassazione è perfettamente in linea con quella degli altri paesi Ue. Non solo: la tassazione sugli immobili non si può cambiare a freddo, senza tenere conto del ruolo che la ricchezza immobiliare ricopre nel nostro Paese.
Rispetto all’Europa, infatti, in Italia la proprietà immobiliare è molto diffusa. Lo dicono i numeri, giusto?
Gli immobili in Italia per quasi il 90% sono detenuti da persone fisiche e per l’85% sono di proprietà delle famiglie. Non sono quindi una ricchezza oggetto di speculazione o investimento vero e proprio, ma rappresentano il fondamento dell’economia familiare tipica dell’Italia. In Nord Europa, per esempio, il rapporto fra locazioni e possesso degli immobili da parte delle famiglie è 70-30. Da noi questo rapporto si capovolge, perché l’80% delle famiglie vive in immobili di proprietà. Vista in quest’ottica, l’unica possibile, è evidente che la tassazione sugli immobili assume tutt’altro colore.
A preoccupare Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia è anche il fatto che lo strumento legislativo adottato per la riforma fiscale sia appunto la delega, per sua natura una legge cornice. In pratica, ci sono i princìpi, ma non i numeri. Si nasconde lì la vera insidia?
Io sottolineerei un altro aspetto. Questa delega non risponde in pieno a quelle che potevano essere le aspettative del mondo tributario e delle imprese.
Perché?
Perché sarebbe questo il momento di una legge delega che fissasse veramente dei princìpi di riforma del sistema, soprattutto in merito al rapporto fra Fisco e contribuente e agli aspetti procedurali.
A cosa si riferisce in particolare?
Penso al sistema degli interpelli e al rafforzamento di istituti che agevolino la partecipazione al procedimento tributario di grandi e grandissimi gruppi. Sono società che per loro natura non possono più evadere le imposte e che quindi hanno tutto l’interesse ad avere un rapporto fortemente collaborativo con il fisco. Abbiamo già degli istituti in Italia che rispondono allo scopo e che vanno rafforzati. Così come vanno rafforzati quegli istituti che possono favorire il reshoring, cioè il rientro in Italia di imprese che sono espatriate. Il Fisco potrebbe dare un incentivo formidabile a questo ritorno. E penso anche ai piccoli esercizi commerciali, per i quali sarebbe opportuno introdurre sistemi forfettari e predefiniti di pagamento delle imposte sul reddito prodotto, il che darebbe loro l’immediata percezione di quello che è il costo fiscale di una certa attività, migliorando nel contempo il contrasto all’evasione fiscale.
Occasione persa?
Sì, la legge delega ha perso l’occasione per essere una riforma di questa portata.
(Marco Biscella)
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