La domanda di questi giorni è cosa abbia ravvivato il dibattito sulla riforma fiscale. Ad accendere la discussione sono stati i “giudizi” dati dalla Commissione europea a cui hanno fatto seguito le “esternazioni” del Ufficio parlamentare di bilancio.
Il giudizio dato dalla Commissione risulta sospeso in attesa dei provvedimenti definitivi, ma questo non le ha evitato di prendere di mira i regimi sostitutivi individuati, anche dall’Upb, quali fonte di rischio per la sostenibilità fiscale del bilancio pubblico italiano.
Andando nel concreto, gli interventi della Commissione e dell’Upb hanno punti comuni. Il primo giudizio riguarda la flat tax, sempre più adottata dal popolo delle partite Iva italiane, individuata come complessa e non in grado di garantire la progressività e l’equità. Il giudizio ha investito l’estensione della soglia di applicazione della tassa piatta aumentata da 65 mila a 85 mila euro e l’introduzione, al momento prevista per il solo 2023, di un’imposta sostitutiva, flat tax incrementale, nella misura del 15%. Quest’ultima sarà applicabile agli incrementi di reddito, fino a 40 mila euro, registrati nel 2023 rispetto al reddito più alto dichiarato nel periodo 2020-2022.
Le due ipotesi di tassa piatta sono individuate come contrarie all’equità e una minaccia agli equilibri di bilancio. Sotto accusa è lo scarso effetto redistributivo della ricchezza e l’iniquità. La loro applicazione, infatti, comporterebbe livelli di tassazione diversi anche all’interno delle stesse categorie di contribuenti contribuendo, in quest’ultimo caso, a creare un disincentivo alla crescita delle imprese. La flat tax incrementale, inoltre, viene accusata di essere un beneficio slegato da incrementi di produttività e destinato a pochi.
L’accusa di mancanza di equità è di parte, mentre quella di impedire la crescita dimensionale è vera, ma non viene supportata da una proposta. In entrambi casi manca il “coraggio” di riconoscere un premio al rischio connesso al lavoro autonomo. Gli effetti sulle imprese e sul lavoro autonomo provocati dal Covid, prima, e dall’alluvione, oggi, rimangono senza riposta.
Il secondo giudizio investe la necessità di garantire copertura finanziaria agli interventi che si vuole attuare. Viene sottolineato, infatti, che mancherebbe la preventiva individuazione di “adeguate coperture da realizzare attraverso spostamenti fra imposte o tagli alle spese e soprattutto occorre garantire la semplificazione”. L’ammonimento sulle coperture potrebbe essere tacciato come superficiale. Non vengono approfonditi, infatti, gli effetti sulla crescita che ne potrebbero conseguire. L’analisi, infatti, si limita a sottolineare la riduzione del gettito indotto dagli interventi e non vengono indagati gli effetti sulla crescita che potrebbero conseguire dal maggior reddito disponibile.
Altro argomento di analisi è stata l’introduzione di un’aliquota agevolata sugli utili non distribuiti. La misura, com’è stato ricordato da più parti, è molto simile alla “mini Ires” prevista e mai attuata dalla Legge di bilancio per il 2019. La critica non sembra infondata. Non si comprende, infatti, perché debba essere subordinata alla mancata distribuzione di dividendi e sarà fonte di complessità posto che va restituita se gli investimenti e le assunzioni non vengono realizzati nei due anni successivi. Lo stesso intervento potrebbe, quindi, essere perseguito mantenendo gli incentivi già esistenti: aumento degli ammortamenti, crediti di imposta o deduzioni.
Superficiale è anche la critica fatta alla proposta di sostituzione dell’Irap definita come un’addizionale applicata al reddito delle società. La critica omette di considerare la situazione attuale. Già oggi la graduale esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap, in combinazione con l’indeducibilità di taluni costi, ha di fatto ulteriormente confuso la natura dell’imposta. L’Irap, nella configurazione attuale, è stata allontanata dal valore aggiunto economico su cui era stata concepita, differenza tra ricavi e costi sostenuti presso altri operatori economici, per cui già oggi è un’addizionale spesso iniqua.
Altro argomento di riflessione comune è quello rivolto all’applicazione dell’autonomia differenziata che viene individuata a giusta ragione come un elemento che introdurrà complessità nel sistema fiscale. Il rischio è concreto, senza un adeguato intervento si rischia di avere migliaia di Uffici tributari autonomi che aumenteranno gli adempimenti.
Quello che lascia perplessi nell’intervento della Commissione è la reiterazione dell’invito ad allineare i valori catastali agli attuali valori di mercato. Questa sottolineatura fa pensare che l’intervento della Commissione rientri nella trattativa in corso con il Governo su altri argomenti: Mes e rimodulazione del Pnrr.
Tutti dalla Commissione al Governo, invece, lasciano a se stessa, pur rilevandola, la questione degli squilibri territoriali tra Nord e Sud del Paese, che invece potrebbe essere affrontata all’interno della riforma fiscale e della rimodulazione del Pnrr.
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