All’interno della riforma fiscale in discussione in Parlamento sembra prendere sempre più concretezza l’inserimento del “quoziente familiare”, un meccanismo che, riconoscendo in modo sostanziale i carichi familiari, possa consentire una maggiore giustizia fiscale, intervenendo finalmente a promuovere quella “equità orizzontale” finora troppo dimenticata.
Da diversi anni il dibattito sulle possibili modifiche del sistema fiscale si era infatti concentrato soprattutto sugli aspetti redistributivi e progressivi, in funzione dell’equità verticale: in altre parole – e in sintonia con il dettato costituzionale, ad ogni buon conto – si voleva ottenere un prelievo fiscale più elevato da chi dispone di redditi più alti, per poterlo poi redistribuire alle classi di popolazione meno ricche. Un giusto criterio di solidarietà pubblica, di grande civiltà, secondo cui “chi più ha più deve dare”, e “chi meno ha meno deve dare” (e magari dovrebbe piuttosto “ricevere”).
Purtroppo questo criterio viene regolarmente applicato su base individuale, perdendo così il fondamentale concetto di “ricchezza disponibile”, che è evidentemente differente se con lo stesso reddito ci si deve vivere in uno, in due o in cinque persone (magari due genitori che lavorano e tre figli da mantenere). Sembra banale ricordarlo, e conviene semplificare al massimo, per capirci: due adulti con 50mila euro di reddito annuo vivono bene, nel nostro Paese; invece se con quei 50mila euro si devono mantenere, oltre ai due adulti, anche tre bambini, è evidente che la ricchezza “disponibile” in questo caso è molto inferiore. E quindi è assurdo ed iniquo chiedere lo stesso contributo fiscale da parte delle due famiglie, che pure hanno nominalmente lo stesso reddito.
Purtroppo – semplificando radicalmente – il nostro fisco ha sempre sottovalutato questo problema, generando e mantenendo così nel tempo situazioni di “ingiustizia orizzontale” ben note, ma su cui ben poco si è fatto, per lunghi anni. E sarebbe certamente sbagliata una riforma del sistema fiscale che non mettesse mano a questa disastrosa iniquità orizzontale, che penalizza alcune famiglie a favore di altre – e che è anche uno dei fattori che hanno contribuito al drammatico ed apparentemente inarrestabile inverno demografico e alla denatalità che caratterizzano il sistema Italia, ormai riconosciuti come un’emergenza sociale, economica, politica e di progetto futuro.
I ripetuti impegni di Giorgia Meloni, nella sua funzione di presidente del Consiglio, e di diversi altri rappresentanti della maggioranza e membri del Governo, di includere il quoziente familiare tra i criteri strategici di riforma del sistema fiscale fanno ben sperare; tuttavia “il diavolo si nasconde nei dettagli”, e quindi bisognerà verificare quanto sarà incisiva la dimensione familiare (l’equità orizzontale) nel nuovo fisco in discussione oggi. Basta poco infatti per vanificare una riforma: un piccolo correttivo ai coefficienti utilizzati, l’accenno di una diminuzione dei potenziali benefici in funzione dell’Isee, l’introduzione di una soglia massima di risorse disponibili per il sostegno alle famiglie, l’assorbimento di altri benefici fiscali… Tanto per chiarire con un esempio: nel quoziente familiare il primo figlio vale 0,5 e dal secondo in poi ogni figlio vale 1 (e quindi il reddito viene decisamente abbattuto). Non come l’Isee, in cui il figlio pesa 0,42, 0,35 o giù di lì (e così il reddito imponibile rimane alto). Salvo poi valere 1 (il figlio) quando si devono conteggiare le tariffe Tari dei rifiuti urbani…. Quindi un quoziente familiare “all’italiana”, che modificasse questi coefficienti, si risolverebbe sostanzialmente non solo e non tanto in una occasione mancata, ma soprattutto in una gigantesca presa in giro.
Ovviamente inserire anche i carichi familiari nella riforma fiscale pone un ulteriore problema di sostenibilità complessiva, all’interno della prospettiva generale dell’alleggerimento complessivo della pressione fiscale. Però è giunto il tempo di mettere finalmente la famiglia e la natalità ai primi posti tra le priorità degli interventi pubblici, magari limitando altre modalità di intervento, anziché fare sempre cassa ai danni delle famiglie e delle nuove generazioni. Ne va del futuro del Paese, ne va della reale equità intergenerazionale delle politiche pubbliche, tuttora, oggi, troppo ingiuste verso i più giovani: quelli che non votano, quelli che dipendono dal lavoro dei propri genitori, ma anche quelli che già oggi sono il nostro futuro.
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