La decisione di approvare la proposta di una legge delega per la riforma del sistema fiscale italiano nella giornata successiva agli esiti della tornata elettorale contiene tre messaggi importanti per il futuro del governo Draghi: mantenere gli impegni assunti con le istituzioni europee relativamente alle riforme che devono accompagnare l’utilizzo delle risorse del Pnrr; non farsi condizionare dalle dialettiche interne tra i partiti che sostengono l’esecutivo; traguardare l’orizzonte della sua azione fino alla scadenza naturale della legislatura. 



Sulla carta, l’obiettivo primario della legge delega rimane quello annunciato dal Premier Draghi nella relazione alle Camere nell’occasione del voto di fiducia di riformare la struttura complessiva dell’imposizione fiscale e razionalizzare un sistema che la stratificazione storica dei provvedimenti legislativi ha reso complicato nel rapporto con i contribuenti e che risulta poco coerente con i principi di equità e di progressività che avevano ispirato le riforme del passato.



Questo obiettivo generale viene sviluppato nei dieci articoli del disegno di legge delega finalizzati a orientare la stesura di un numero imprecisato di decreti attuativi da parte del Consiglio dei ministri da sottoporre al parere delle Camere nel corso dei diciotto mesi successivi all’approvazione della legge delega da parte del Parlamento. E che propongono di riformare l’intero sistema del prelievo fiscale sui tre pilastri principali: l’imposizione sui redditi delle persone fisiche (Irpef), l’imposta sul valore aggiunto delle prestazioni dei servizi e la vendita di prodotti (Iva) e le altre forme di reddito derivanti dall’impiego del risparmio, dei capitali, di affitti e transazioni una tantum, attualmente sottoposte al regime proporzionale delle cedolari secche.



Una cornice molto ampia che presuppone anche una riforma delle basi imponibili e dei sistemi di riscossione per semplificare le modalità di imposizione, il numero delle imposte, ridurre l’elusione e l’evasione incentivando l’emersione del reddito e rafforzando gli strumenti di controllo, sfoltendo la selva delle deduzioni, detrazioni e bonus che altera i principi di progressività, equità e trasparenza del sistema.

La missione di ridurre la pressione fiscale sul complesso dei redditi e delle attività economiche viene traguardata nel tempo per la carenza di risorse rese disponibili per lo scopo presso il fondo specifico previsto dalla recente Legge di bilancio (3 miliardi di euro) e da quelle che saranno rese disponibili dalla razionalizzazione del sistema di imposizione a parità di spesa pubblica impegnata. Un’implicita conferma che la partita è destinata a registrare nel tempo vincitori e vinti e che tra questi ultimi non ci saranno solamente gli evasori incalliti.

Nelle righe del provvedimento si possono comprendere quali potrebbero essere le implicazioni di medio periodo nell’ambito dei tre pilastri dell’imposizione precedentemente richiamati. Nelle intenzioni del Governo la riforma dell’Irpef dovrebbe comportare una riduzione del peso delle aliquote di prelievo per i redditi medio bassi (nella proposta avanzata dalla commissione parlamentare quelli tra i 28 mila e i 55 mila euro annui che sono penalizzati da un elevato incremento delle aliquote rispetto allo scaglione precedente e che vengono sostanzialmente esclusi dai bonus fiscali introdotti negli anni recenti). Una riforma che dovrebbe essere finanziata anche da una parziale riduzione delle detrazioni e deduzioni fiscali sul complesso dei redditi, in particolare quelli più elevati. Un obiettivo ragionevole sulla carta, ma che tradotto in pratica prefigura il risultato di aumentare la pressione fiscale su quel 13% di contribuenti che finanziano il 59% l’attuale imposizione sulle persone. L’obiettivo di accorpare in una sola aliquota le imposte sui redditi già sottoposti attualmente al regime della cedolare secca (utili da azioni, interessi sui risparmi, affitti, plusvalenze, ecc.) non appare particolarmente complicato.

Il disegno di legge si mantiene volutamente generico sul destino dei regimi di imposizione agevolata (flat tax per i lavoratori autonomi e le esenzioni per i coltivatori diretti) per i quali dovrà essere trovata una soluzione strutturale nell’ambito della razionalizzazione delle forme di tassazione per i redditi delle imprese. In questa direzione viene prefigurata l’abolizione dell’Irap, l’imposta sulle imprese che finanzia una parte del sistema sanitario delle regioni. Un provvedimento che richiederà inevitabilmente una compensazione da altre fonti di finanziamento e, da quanto traspare nella proposta, dalla riforma delle imposte addizionali regionali sulle persone fisiche.

Gli aspetti salienti che dovrebbero orientare la riforma dell’Iva, sempre a parità di gettito, vengono individuati nell’accorpamento delle attuali aliquote, ma soprattutto dall’aumento dell’Iva e delle accise sui prodotti inquinanti per la finalità di accelerare la transizione ecologica delle attività produttive. Sono quattro righe della legge delega destinate a pesare come un macigno sulle politiche economiche e sul destino di interi apparati produttivi.

La delega contiene l’obiettivo di riformare il catasto, oggetto delle polemiche politiche nei tempi recenti per i potenziali incrementi dell’imposizione derivanti dalla rivalutazione dei valori catastali degli immobili. Una scelta che ha comportato una frattura nel Governo, con la decisione dei ministri della Lega di non partecipare al Cdm che ha approvato la proposta di legge delega. 

Come ribadito dal Premier Draghi e dal ministro dell’Economia Franco, l’obiettivo primario della riforma rimane quello di ricostruire la rappresentazione reale del patrimonio immobiliare e di far emergere quello non dichiarato. Senza determinare conseguenze sull’impostazione fiscale degli immobili nei prossimi 5 anni, al netto del recupero delle imposte evase.

Questa impostazione, difficile negarlo, risponde a esigenze di equità nel rapporto con i contribuenti e per migliorare la tutela del del territorio. Anche considerando che per la riqualificazione degli immobili tramite il superbonus verranno impegnati oltre 20 miliardi di euro a carico dell’amministrazione. Ma è altrettanto scontato, in uscita dal periodo transitorio, un aumento medio dell’imposizione sul patrimonio immobiliare aggiuntivo alle prime abitazioni.

Per la finalità di rendere efficiente l’azione di contrasto all’evasione fiscale, il disegno di legge contiene la riforma del sistema di riscossione, unificando la responsabilità nella Agenzia delle Entrate, e una generica previsione di valutare la congruità dei crediti fiscali vantati dallo Stato, ma in gran parte dichiarati inesigibili o di difficile riscossione da parte delle amministrazioni pubbliche. Tutto questo rappresenta un’autentica mina vagante per i conti pubblici che sarà complicata anche dai supplementi dei crediti non esigibili, e dai costi per le garanzie offerte dallo Stato al sistema bancario a tutela delle imprese durante la crisi Covid.

Per le ragioni esposte, e per la complessità degli interventi, il percorso della legge delega non si preannuncia affatto semplice. Non mancheranno le contestazioni, a nostro avviso fondate, per la violazione costituzionale per l’eccesso di delega conferito all’Esecutivo.

La decisione dei ministri della Lega può essere motivata dall’esigenza di un chiarimento interno, non destinato necessariamente ad avere conseguenze dirette sulla tenuta dell’Esecutivo. Ma la materia fiscale è, per sua natura, l’oggetto principale della dialettica politica. Nella prossima Legge di bilancio si dovranno selezionare le priorità per la destinazione dei 22 miliardi di spesa aggiuntivi, già in buona parte ipotecati dai provvedimenti di natura assistenziale, per sostenere: il rifinanziamento del superbonus per le ristrutturazioni degli immobili residenziali, l’abolizione dell’Irap, la riduzione del cuneo fiscale sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, le proroghe della flat tax e dei regimi agevolati, gli oneri necessari per completare l’attuazione dell’assegno unico per la parte dei lavoratori dipendenti e per il completamento dell’attuazione del Family Act che prevede l’introduzione delle detrazioni fiscali per i servizi di cura e di educazione. Singolare il fatto che il tema dell’armonizzazione del sistema fiscale per le famiglie con gli obiettivi approvati dal Parlamento con il Family Act non venga nemmeno citato nella proposta di legge delega.

Con tutti i limiti evidenziati, la scelta del Governo ha comunque il pregio di cercare di mettere una parola fine sull’illusione di poter utilizzare la leva fiscale con un ulteriore sforamento del deficit pubblico e di continuare la deriva dei provvedimenti per ulteriori bonus e detrazioni fiscali che ha caratterizzato l’azione del Parlamento nei tempi recenti.

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