Al centro dell’attuale dibattito vi è il tema delle riforme. Oggi la loro attuazione sembra possibile per due motivi: sono indispensabili al Paese e sono necessarie perché la Commissione europea vuole subordinare gli aiuti varati con il Recovery fund a un piano di riforme. Il clima appare favorevole per cui non dobbiamo perdere la chance che ci viene offerta dalla storia.



La riforma fiscale è sempre un tema attuale, ma rappresenta una sorta di incompiuta. Le scelte da fare non devono tradursi in una semplice abolizione dell’Irap. È il sistema fiscale che va rivisto e ciò non può tradursi nella soppressione di un’imposta seppur poco amata. La riforma deve essere mossa da maggiore equità, sostegno alle famiglie e alle imprese da attuare anche attraverso uno snellimento delle procedure di determinazione delle imposte che si devono versare.



Oggi il dibattito sembra ristretto tra chi vuole introdurre la flat tax e chi invece vuole mantenere la progressività presente nella Costituzione, considerata un dogma. In realtà, questo dogma resiste solo per pochi, per i lavoratori dipendenti e per gli imprenditori e professionisti che operano in forma individuale. Molte categorie reddituali hanno più o meno una forma di tassazione piatta che prende diversi nomi: imposta sostitutiva, cedolare secca, flat tax fino a 65.000 euro di compensi, tassazione dei dividendi e delle plusvalenze al 26%, ecc.

La tassazione dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori fuori dal perimetro della flat tax ha raggiunto livelli non sostenibili. Molti default aperti presso l’ex Equitalia sono dovuti all’effetto combinato della crisi economica che ci accompagna e dell’elevata pressione fiscale e burocratica a essa connessa.



I decreti rilancio e liquidità hanno espresso i loro limiti. Alcune norme sono interessanti, ma la loro efficacia è inficiata dalla burocrazia che sarà introdotta per la loro attuazione. Vi è una miriade di crediti di imposta di modesta entità la cui implementazione determinerà solo un aumento del deficit e della burocrazia a carico delle aziende e dei lavoratori autonomi. In alcuni casi la politica ha ripreso il proprio ruolo in danno della burocrazia e dell’ideologia. Pensiamo al taglio dell’Irap, ma soprattutto alle modifiche introdotte decreto liquidità. Queste ultime sono senz’altro da apprezzare perché hanno una visione strategica e non di annuncio. L’allungamento fino a 10 anni del periodo di ammortamento dei prestiti fino a 25.000 euro, ora estendibili fino a 30.000, e l’allungamento fino a 30 anni del periodo di restituzione degli altri finanziamenti, pensiamo a quelli fino a 800.000 euro, hanno, nei fatti, introdotto una sorta di fondo perduto.

Si è sposata, rafforzandola, la tendenza che spingeva verso un finanziamento a tasso agevolato in luogo del fondo perduto. Con la nuova versione del decreto liquidità lo Stato lancia un messaggio: interviene per dare sostegno alla liquidità di chi ne avrà realmente bisogno. Si deve comunque intervenire in favore di quei settori, il turismo e l’intrattenimento, oggettivamente in crisi per colpa del Covid-19 e dei protocolli emanati per affrontare la fine del lockdown.

Ora però bisogna intervenire sul reddito degli italiani, cittadini e imprese, attraverso la leva fiscale. Dal dibattito cui si assiste è evidente che l’introduzione della flat tax scontra una contrapposizione ideologica che questo esecutivo e questo Parlamento non potranno superare. L’attuazione della riforma fiscale deve passare per altre strade che hanno in comune con la flat tax un’esigenza: ridurre la pressione fiscale. Con ogni probabilità bisognerà ridurre le aliquote per categorie di reddito, introdurre il quoziente familiare, rivisitare il sistema delle deduzioni e delle detrazioni spostando le risorse disponibili per dare detrazioni forfetarie in dichiarazione e incentivi duraturi in busta paga, detassare gli investimenti delle imprese e dei lavoratori autonomi, incentivare il rafforzamento patrimoniale delle imprese premiando l’investimento del socio, ricorrere maggiormente al reverse charge in ambito Iva.

La riforma fiscale dovrà portare maggiore reddito nelle tasche degli italiani e dare impulso alla nostra economia stimolando i consumi e gli investimenti. Dobbiamo farlo perché a molti non è chiaro che le risorse del Recovery fund sono a carico del bilancio Ue. Questo significa che non abbiamo ben chiaro che anche la parte a fondo perduto nei fatti andrà restituita dalla fiscalità di tutti i singoli Stati. Per cui se non ci sarà crescita ci saranno, conseguenza inevitabile, maggiori tasse.

La riduzione delle tasse deve essere attuata in maniera semplice senza introdurre crediti di imposta o click day. La filosofia deve essere diversa, bisogna lasciare i soldi nelle tasche degli italiani e/o nelle casse e non cercare di portarceli con click day e crediti di imposta mediaticamente impattanti. La burocrazia deve fare un passo indietro. Non è chiaro a tutti, per esempio, che dietro l’attuale dichiarazione precompilata ci sono informazioni rese disponibili dalle aziende e dai lavoratori di piccole dimensioni. Tutto ciò ha un costo per il sistema delle imprese che non viene riconosciuto ma presentato unicamente come un successo della Agenzia delle Entrate.

A oggi sugli imprenditori e professionisti che operano in forma individuale incombe una tassazione da brividi. Coloro i quali, infatti, sono esclusi dal regime della flat tax subiscono un prelievo senza eguali. Le aziende e i lavoratori autonomi vanno tassati allo stesso modo separando la sfera imprenditoriale da quella privata. Tassa piatta sul reddito di impresa o di lavoro autonomo, tassazione ulteriore, ma contenuta, allorquando il risultato dell’attività passa alla sfera privata. Si potrebbe immaginare una tassazione, sul reddito di impresa o di lavoro autonomo esercitato in forma individuale, che fino all’equivalente dell’attuale flat tax consenta di portare alla sfera personale il reddito conseguito e per la parte eccedente, già assoggettata a tassazione fissa, proporre un sistema che garantisca in modo semplificato la progressività

Andrebbe poi operata una riforma del sostituto di imposta che passi per l’abolizione degli acconti, anche delle ritenute attuali, e giunga, per esempio, alla previsione di una ritenuta di acconto sulle singole transazioni operata in modo simile, attraverso il sistema bancario, a quello che avviene nel settore dell’edilizia.

Il nuovo disegno fiscale deve poi avvicinare il nostro sistema a quello europeo. Il dibattito intorno al prestito richiesto da Fca è ideologico. La norma attuale lo consente e bisogna concederlo. I paletti successivi che si vorrebbero introdurre sono in alcuni casi utili e denotano la superficialità con la quale si è affrontato in prima battuta il tema. Il vero nodo sta nell’interrogarci sul perché Fca, al pari di altre aziende italiane, ha portato la sede fiscale in Olanda e sul perché il nostro ordinamento tributario, ma anche quello autorizzativo, espelle le aziende invece di includerle. La politica deve fare in modo che sia conveniente avere la sede in Italia se è qui che si produce reddito.

Su questo punto abbiamo una grande opportunità che viene dalla Brexit. Bisogna introdurre nel nostro ordinamento norme simili a quelle emanate per favorire il rientro dei cervelli in fuga che attirino le aziende in Italia.

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