Venghino signori, venghino a ciurlar di redistribuir. Un ciurlìo che rimbomba tra i diseguaglianti e i diseguagliati. Essì, con la pandemia giungemmo a dover mettere mano a quel marchingegno che, mal funzionando, ha consentito di poter generare la crescita con un debito surrogante redditi mal trasferiti.
Cominciamo: gli Stati Uniti godono di leadership su tutta la regolamentazione fiscale e l’annuncio di Joe Biden manda un segnale forte, che avrà sicuramente delle conseguenze per i negoziati in corso all’Ocse. Dunque l’amministrazione Biden dà le carte con un piano per aumentare le tasse sulle società e sugli americani che guadagnano più di 400.000 dollari all’anno per pagare un piano, forte di investimenti nelle infrastrutture da 2 trilioni di dollari e quello per le famiglie da 1,8 trilioni. Il ritorno di un’economia più gestita con il declino delle soluzioni di mercato privilegiate dall’inizio degli anni ’80?
I diseguaglianti qualche dubbio l’hanno. Questo rialzo fiscale non rischia di penalizzare gli investimenti aziendali necessari alla ripresa economica? I diseguagliati, per ribattere, gridano il non esser tutti uguali e loro ancora meno! Beh, sia come sia; anzi, per non restare incastrati a stantii refrain, proviamo a fare come credo debba farsi.
Se si invoca una riforma fiscale del già trasferito si aggiusta forse, non si risolve, lo squilibrio che la connota. Si continuerà a prelevare direttamente e in malo modo dai redditi percepiti dai soliti noti, capitale e lavoro, prelevando indirettamente dal lavoro degli insoliti ignoti, i consumatori, contravvenendo pure alla progressività del prelievo.
Eilà gente, se la riforma fiscale dovrà pagare i maggiori costi della sanità post pandemica, ri-attrezzare le infrastrutture della terra poi pure ri-sanarla e…. se ci attrezzassimo pure a far la crescita per poter pagarne meglio i costi?
Dunque, la crescita si fa con la spesa al mercato, là dove dovrebbe fare il prezzo più alto la produttività del migliore; dove invece il vincente, escluso dalla conta, non prende niente. Essì, incassa il premio chi ha fatto le merci, non il migliore che acquistandole ha potuto generare quel remunero. Negletto che, per poter tornare a spendere, deve chiedere gli spicci ai remunerati correndo il rischio, stante le iniquità nel prelievo, di trovarsi in tasca più di quanto possa, meno di quanto debba avere per fare quella spesa prodroma alla crescita.
Orsù eletti del mondo, il tempo stringe, le iniquità strozzano. Tocca conferire “premio”, fin qui negato, al più produttivo degli agenti che abitando sine die il mercato fa il più della crescita. Si vuol fare quella crescita che paga i costi post pandemici? Bene, la riforma del fisco dovrà riformare i modi di chi già paga, pure poi far pagare il costo fiscale (poter così ancor più incassare quanto occorre per fare quel che avete in mente di dover fare) guadagnato con il “premio produttività” per aver fatto i due terzi della crescita.
Chi dovrà pagare il prezzo del premio? Beh, a occhio e croce tutti gli agenti economici che da tal garantita crescita avranno da guadagnare! Come? Con il profitto che, nell’Economia dei consumi, manca di ragione economica: impiegato dalle imprese per attrezzare business fa fare utili se e quando i consumatori, acquistando quelle merci, rifocillano il potere d’acquisto.
A proposito di tasse, lo scrivo da tempo. Alla politica toccherà de-fiscalizzare gli aderenti al nuovo modo di far business; fiscalizzare invece i renitenti!
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