Quando si parla di un disegno di legge delega, come nel caso della riforma fiscale che il Governo Meloni dovrebbe approvare la prossima settimana, è normale che non ci siano troppi dettagli su come concretamente cambierà un sistema che da diversi anni è soggetto a modifiche minime e parziali ma piuttosto frequenti. Bisognerà, quindi, attendere i decreti delegati per avere effettiva contezza su come cambieranno aliquote, detrazioni, sanzioni, procedimenti accertativi e di riscossione. Un’attesa che potrebbe anche protrarsi fino al 2025.



Il che potrebbe anche non essere un male, considerato che sugli stessi giornali che da giorni stanno proponendo simulazioni (senza uno straccio di pezza di appoggio normativa) si leggono dichiarazioni del ministro dell’Economia Giorgetti riguardo l’esigenza di avere i conti pubblici in ordine complicata dall’intenzione della Banca centrale europea di continuare ad aumentare i tassi, con tutto quel che ciò comporta per i rendimenti della mole di titoli di stato che il Tesoro dovrà emettere quest’anno. Dato che per “tagliare le tasse” servono coperture finanziarie, può darsi che nell’arco di due anni la situazione contabile del nostro Paese possa essere migliorata.



Forse è quello che si augura anche l’Esecutivo, altrimenti dovrà dar vita a un’operazione in cui togliere con una mano ciò che si dà con l’altra o a una mera diversa distribuzione dello stesso carico fiscale, lasciando quindi invariata quella pressione fiscale che pone l’Italia tra i Paesi leader del mondo in una classifica poco amata dai contribuenti. Oltretutto, un lungo tempo di gestazione dei decreti delegati lascerebbe anche il tempo per un auspicabile confronto con le parti sociali.

Meritoria sembra, in ogni caso, l’intenzione espressa nel disegno di legge delega (al momento allo stato di bozza) di ridurre da quattro a tre gli scaglioni Irpef con aliquote più basse: un’operazione che dovrebbe dar respiro al ceto medio che sta affrontando la crisi energetica senza poter godere di quello “scudo” che è stato prioritariamente destinato alle fasce meno abbienti. Meriterebbe, tuttavia, maggior chiarezza l’indicazione dell’obiettivo di una flat tax per tutti entro la fine della legislatura: si tratterebbe di una tassa piatta uguale per tutti? E con quale aliquota? Oppure di una flat tax incrementale? Si spera di avere presto (prima del 2025) delucidazioni su questi dettagli non marginali. Come pure sulla “revisione delle tax expenditures”, indicate come 600 voci che costano 165 miliardi di euro: ben venga tale spesa pubblica se serve a rimborsare parte delle spese mediche rese necessarie da un Ssn claudicante o un minimo degli interessi in rialzo sui mutui che stanno erodendo le buste paga (ferme al palo) di chi ha deciso di acquistare la prima casa!



È invece sconfortante non trovare alcuna traccia del “quoziente familiare“, che rischia così di rimanere ancora una volta un principio buono sulla carta per convegni e programmi elettorali, ma destinato a non fare il suo ingresso nei provvedimenti normativi.

Spostandosi dalle persone fisiche a quelle giuridiche, appare positiva l’intenzione di ridurre l’Ires per chi aumenta le assunzioni e gli investimenti qualificati. Occorrerà, tuttavia, fare in modo che vi siano opportuni controlli per evitare che le agevolazioni non finiscano per aiutare qualche “furbetto”, come avvenuto, per esempio, con il superbonus 110%. Stessa attenzione andrà prestata riguardo l’intenzione di andare incontro, tramite riduzione delle ritenute sui compensi, a quei lavoratori autonomi che sostengono costi elevati (rispetto a quale scala di misurazione?) per i propri dipendenti o collaboratori. C’è anche da sperare che la semplificazione della fiscalità riguardante il Terzo settore possa agevolare quella parte di tessuto sociale che ultimamente sempre più va comprendo gli spazi lasciati vuoti da un settore pubblico poco capace o privo di risorse.

Per quanto riguarda le imposte indirette, si è vociferato dell’azzeramento dell’Iva su alcuni prodotti come latte e pane. Tra le tante simulazioni pubblicate dai giornali in questi giorni non se n’è vista una che abbia, però, mostrato quale sarebbe l’effetto concreto del passaggio dal 4% (tale è l’Iva attuale sui beni di prima necessità) allo 0% sul prezzo finale di un kg di pasta, di un litro di latte o di un paio di panini: forse perché non c’era abbastanza spazio per gli zero virgola nelle infografiche. Attenzione poi all’illusione che qualcuno potrebbe cullare nel sentire parlare di interventi sulle accise: l’intenzione è quella di promuovere l’utilizzo di risorse rinnovabili. Quindi il pieno di benzina o gasolio, salvo interventi normativi di altro genere, non costerà meno.

C’è, infine, da scommettere che la paventata accelerazione del processo di autonomia finanziaria delle regioni a Statuto ordinario darà vita a uno scontro politico non indifferente, con il rischio di trascurare altri temi del ddl ugualmente importanti. Quali, per esempio, quelli relativi ai procedimenti accertativi e di riscossione, alle sanzioni o alle aliquote sui redditi di capitale. Prepariamoci, quindi, a un prosieguo di legislatura tutt’altro che semplice, sempre che a palazzo Chigi resti tutto immutato e non si debba mettere a punto un nuovo disegno di legge delega per la riforma fiscale: sarebbe il terzo dal 2022.

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