Nei prossimi giorni conosceremo il carattere della tanto attesa riforma fiscale. È prevista, infatti, prima della pausa estiva la presentazione del disegno di legge delega finalizzato al riordino di “alcuni” aspetti del sistema tributario, a partire dall’Irpef.
L’audizione del ministro Franco e del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di questi giorni hanno un tratto comune: le risorse sono scarse per cui la riforma non potrà essere a debito e non si possono restituire, né si può consentire la compensazione dei crediti che i cittadini e le imprese vantano nei confronti dello Stato.
Nelle illustrazioni sin qui disponibili non c’è traccia di azioni volte a recuperare risorse intervenendo con tagli e razionalizzazioni. Non è possibile, dunque, una riforma in deficit e non essendoci tagli in vista c’è il rischio che si persegua una riforma con invarianza dei saldi della finanza pubblica.
Si agirà solo su aspetti formali dunque? Dalle parole del ministro Franco non si è compreso se ci sarà l’Iri che consentirà di rendere equo il prelievo in capo alle persone fisiche esercenti imprese e/o arti e professioni rinviando la tassazione definitiva dei redditi al momento in cui gli stessi passino effettivamente alla sfera personale dei percettori. Vi è dunque da parte del Governo una chiusura alla tentazione di promuovere, anche solo in parte, la riforma in deficit?
Al punto in cui ci troviamo le nuove norme saranno applicabili dal 2023. Se questo è lo scenario andrà a infrangersi, senza produrre effetti positivi, l’euforia che ha accompagnato la tanto attesa riforma fiscale. Dobbiamo solo auspicare che il rinvio al 2023 della riforma sia dettato dalla volontà di misurare se davvero le previsioni di crescita economica annunciate da più parti si concretizzeranno. Se la crescita sarà confermata si potrà sperare che si possa superare l’invarianza dei saldi o le risorse aggiuntive andranno destinate al rientro del debito pubblico oggi pari a circa il 160% del Pil? In questo secondo caso allora la riforma tanto attesa continuerà a essere solo formale.
La proposta di riforma dell’Irap va verso l’introduzione di una addizionale Ires e/o Irpef e si tradurrà solo in una riduzione degli adempimenti dichiarativi ai fini Irap e nulla più. Non sappiamo se ci sarà un’azione di semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese e dei cittadini oramai fuori controllo nel numero e nella complessità. È auspicabile, dunque, che sia varata subito ogni semplificazione possibile che non abbia un costo per le finanze pubbliche.
La delega attesa pare includa la riforma dell’Iva. Non sappiamo ancora se ci sarà un aumento delle aliquote, specie quelle riferite ai beni di lusso. In questo caso si avrebbe uno spostamento dell’imposizione sui consumi e questo non sarebbe un errore.
Il Ministro, nel concludere la sua audizione, ha ribadito che tra le fonti utili a finanziare la riforma non ci sarà la patrimoniale imposta divisiva ed utile solo se finalizzata a finanziare idee e progetti e non solo a soddisfare l’ideologia di chi ne promuove l’introduzione.
La delega dovrebbe poi prevedere un supporto alla patrimonializzazione delle imprese e un possibile ritorno del cashback. Sugli aiuti alla patrimonializzazione andrebbe ripreso il modello delineato, ma nei fatti poco valorizzato, dall’art. 26 del Decreto rilancio che prevedeva l’attribuzione di un credito di imposta in favore del socio che sottoscriveva l’aumento di capitale e della società che beneficiava dello stesso.
Il ritorno del cashback, invece, non si comprende perché non sia accompagnato da una riforma del quadro RP della dichiarazione dei redditi all’interno del quale vengono riconosciute le detrazioni e le deduzioni delle spese agevolate ai fini Irpef Il cashback, infatti, potrebbe essere usato per accelerare i rimborsi e la razionalizzazione del quadro RP ridurrebbe i costi degli adempienti e dei controlli.
Non ci resta che attendere il testo della delega per capire la forma che assumerà la riforma del fisco voluta dai Ministri del Premier Draghi.
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