La pace fiscale è il tormentone che infiamma il dibattito politico di questa estate. Come sempre accade, l’Italia si divide in maniera simmetrica tra favorevoli e contrari. Tra i primi c’è chi sostiene il provvedimento se si farà a valle della riforma fiscale e c’è chi invece ritiene che vada comunque fatta, concentrandosi su un robusto taglio delle sanzioni, peraltro già previsto nei prossimi interventi, richieste ai contribuenti. Il tema è senza dubbio meritevole di maggiori approfondimenti affinché si superino i contrasti ideologici.
Il confronto di questi giorni ha focalizzato l’attenzione sul magazzino fiscale per attaccare le rottamazioni fatte dal Governo nell’ultima finanziaria. Sul monte crediti vantati dall’Agenzia delle Entrate andrebbe fatta un’operazione verità in parte avviata dal Direttore Ruffini nel 2021, ma poi abbandonata, e oggi ripresa da pochi. L’analisi condotta sulla consistenza del magazzino fiscale è arrivata alla conclusione, circostanza confermata dall’onorevole Marattin, che risulta inesigibile il 91% dei circa 1.000 miliardi di crediti fiscali in carico ad Agenzia Riscossione. È piuttosto evidente che questi crediti che “non esistono” fanno riferimento a contribuenti deceduti, falliti o su cui sono già tentate senza successo tutte le possibili operazioni di recupero. Sono altresì chiare le cause che hanno portato allo scenario attuale. Una prima è da ricercare nel quadro normativo che regola le attività di recupero dei crediti che è considerato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate «eccessivamente macchinoso», tanto da impedire un’efficace, rapida ed efficiente azione di riscossione. Una seconda causa è la mancanza di norme che consentano la cancellazione dei debiti arretrati e ormai inesigibili. Quest’ultimo tema vede d’accordo tutto il Parlamento. La conferma è scritta nel parere pubblicato il 17 marzo 2021 dalla commissione Finanze della Camera sul Recovery Plan italiano laddove si afferma l’esigenza che sia varata una «totale o parziale» cancellazione dei crediti non più riscuotibili. Delineato lo scenario emerge che il dibattito attuale che a ben vedere tanto attuale non è.
Come anticipato a favore della pace fiscale gioca sicuramente un ruolo il tentativo di riforma fiscale in atto che, se attuata, renderebbe corretto operare una definizione del contenzioso pregresso. Molte fattispecie oggetto oggi di contenzioso, infatti, verrebbero trattate in maniera diversa nel nuovo sistema fiscale per cui sarebbe opportuno e giusto operare una pulizia dei contenziosi in essere, spesso originati da interpretazioni presuntive che nulla hanno a che fare con la vita delle aziende, come si nota dalla proposta di legge di superamento dell’Irap e così via. Appare, dunque, ragionevole sostenere che una definizione del passato non è cosa sbagliata se operata a valle della riforma sostanziale che si vuole introdurre.
Questa conclusione pone all’attenzione del dibattito uno degli indirizzi che dovrebbe seguire la riforma fiscale, ovvero porre un freno alla zona grigia che caratterizza il nostro sistema fiscale. È risaputo, infatti, come l’assetto attuale sia caratterizzato da poca concretezza che si traduce spesso in “evasione” conseguenza di un’interpretazione errata delle norme di natura fiscale. Sul punto la riforma prova a puntare su una maggiore collaborazione fisco-contribuente con alcuni principi che intervengono sullo Statuto dei diritti dei contribuenti, introducendo la previsione che siano rafforzate le ipotesi in cui si possano proporre gli interpelli e favorire il ruolo della consulenza giuridica.
Sempre tra i favorevoli vanno annoverati coloro che ritengono che l’economia, dopo due anni di pandemia e un anno e mezzo di guerra, sia provata e un sostegno, attraverso la pace fiscale, alla liquidità delle aziende andrebbe dato.
I contrari alla pace fiscale dicono che si tratta di un pessimo segnale che incoraggia l’evasione stimata sempre in 100 miliardi annui. A ben vedere, però, chi è contro alla pace fiscale è contro alla flat tax ed è contro anche al concordato fiscale biennale. Sintetizzando si può concludere che chi è contrario alla pace fiscale è favorevole a mantenere lo staus quo che, riprendendo l’ex Ministro Visco ideatore del fisco telematico, non è parso in grado di incidere sul monte evasione.
Dunque, il tema non pare essere il sì o il no alla pace fiscale: occorre riflettere su cosa fare per aiutare le imprese affinché si realizzi uno sviluppo lungo tutto lo stivale che costituisca uno stimolo per l’economia. La riforma fiscale, al pari della Zes unica del Sud autorizzata dall’Ue, è senza dubbio una buona notizia che tuttavia senza una riforma della burocrazia rischia di rimanere nella penna di chi l’ha pensata.
Il vero tema, dunque, è far ripartire il cantiere delle riforme provando a includere anche le opposizioni e le loro proposte, accettando i contributi senza valutarli a priori e ideologicamente come irricevibili. La congiuntura attuale è pesante e c’è da gestire con intelligenza il reshoring delle aziende indotto dai nuovi assetti politici che si vanno delineando. Le scelte di oggi avranno un impatto nel medio e lungo periodo e non possono essere misurate guardando ai sondaggi.
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