Il rinvio a settembre della riforma fiscale viene sempre più giustificato con la mancanza di risorse non potendosi sostenere ulteriori interventi in deficit. Il vero problema, dunque, è trovare le risorse finanziarie perché si possa fare la riforma. Il Governo punta a ottenere dalla crescita economica una possibile fonte delle stesse. In attesa di verificare come e quanto crescerà il Pil rimane l’interrogativo di come sarà la riforma fiscale. In un altro intervento avevamo auspicato che la riforma vera e propria fosse preceduta da un’innovativa fase di spending review e di semplificazione che tenesse conto delle gravi conseguenze sociali e della profonda contrazione dell’attività economica causata dalla pandemia. 



Alcune forze politiche hanno avviato intanto una riflessione sulle possibili fonti con cui finanziare la riforma fiscale. Sotto la lente di ingrandimento è finito il reddito di cittadinanza additato come lo strumento che non consentirebbe più di trovare forza lavoro in alcuni settori dell’economia. Il Premier Draghi, preoccupato della piega che potesse prendere il confronto tra i partiti, si è affrettato ad affermare: “Condivido il concetto alla base del reddito di cittadinanza”. Cosa significhi è ancora presto per dirlo, ma nel frattempo si registra sul tema la dichiarazione del Presidente della Camera Fico, il quale ha affermato: “Con Draghi si lavora bene, la misura si può migliorare”. Con ogni probabilità, dunque, il rinvio a settembre serve per completare la ricerca di una possibile intesa sulla riforma del reddito di cittadinanza dalla quale ricavare le risorse per la riforma fiscale.



Il recupero delle risorse, pertanto, è il tema dei prossimi mesi e solo la sua soluzione darà impulso alla riforma fiscale avvertita come necessaria e centrale nel Pnrr. Il tema della riforma del reddito di cittadinanza, quindi, è sicuramente da affrontare. Le storture che hanno accompagnato i primi mesi della sua applicazione, infatti, sono state molto spesso terreno di scontro ideologico verso una misura buona ma abusata per scarsità di controlli e norme poco trasparenti. Uno dei cavalli di battaglia dei detrattori è stato il massiccio utilizzo che se n’è fatto nelle regioni del Sud. Da qui la proprietà transitiva che l’ha vista considerata fonte di assistenzialismo del Nord produttivo nei confronti del Sud desideroso solo di assistenzialismo. In realtà, il maggior utilizzo al Sud della misura è la conferma che gli squilibri economici Nord/Sud non sono stati per nulla intaccati dalle politiche economiche di questi anni. Da qui, dunque, l’esigenza di riformare l’istituto che sia accompagnato da un cambio di passo delle politiche di sviluppo e investimento nel Mezzogiorno. Le Zes continuano a essere una manifestazione di buona volontà e nulla più, mentre i programmi di investimento infrastrutturale per il Sud continuano a latitare complice anche l’assenza di proposte dei presidenti delle Regioni meridionali. Al momento nessuno dei cantieri promessi è stato aperto. Senza ciò non vi è incremento di occupazione e diventa quasi naturale fare ricorso al reddito di cittadinanza per soddisfare lo spirito di sopravvivenza.



In tema di ricerca di risorse andrebbe affrontato il tema del superbonus al 110%. La misura risulta essere una “evoluzione” dei bonus ristrutturazioni oramai stabili nel nostro sistema. Queste misure negli anni passati hanno dato un buon risultato in termini di moltiplicatore economico per cui forse varrebbe la pena, invece di puntare su una misura come quella del superbonus prigioniera sempre più della burocrazia, di rifinanziare i vecchi bonus che comunque hanno dato ottimi risultati e si prestano meno a possibili abusi.

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