Il Presidente del Consiglio Draghi ha messo nella agenda di governo la riforma fiscale. Molti economisti hanno discusso e avanzato proposte sulla revisione dell’Irpef, la madre di tutte le battaglie. Tramontata l’ipotesi della flat tax, i conflitti principali possono emergere sulle aliquote e sulla progressività dell’imposta. 



Un argomento finora trascurato che meriterebbe attenzione da parte del Governo è la tassazione sulle compravendite degli immobili. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano solo nei casi di cessione a titolo oneroso o gratuito della proprietà e gravano sull’acquirente. Il presupposto è l’accertamento della proprietà immobiliare e l’aggiornamento delle banche dati pubbliche, per garantire la registrazione degli atti, il funzionamento del mercato e la protezione della proprietà. In altre parole, da un lato l’imposta di registro determina un costo di transazione, dall’altro garantisce il trasferimento del diritto di proprietà e la trascrizione degli atti nei registri immobiliari. 



Tuttavia, la tassazione sui trasferimenti degli immobili non serve tanto per pagare il costo di tali servizi, quanto per colpire indirettamente la formazione della nuova ricchezza immobiliare e produrre una fonte di entrata comoda e certa per l’erario, salvo le fasi di crisi del mercato immobiliare e la spesa fiscale determinata dalle agevolazioni. Tassare i beni immobili al momento del loro trasferimento ostacola la loro circolazione e la formazione di nuova ricchezza, con importanti effetti economici di blocco del mercato immobiliare.

Dal punto di vista economico esistono buone ragioni per una riforma degli attuali meccanismi. Le imposte sulla transazioni immobiliari dovrebbero essere meno onerose, semplificate o ridotte alla forma di tassa fissa, come contropartita di un servizio pubblico.



Dopo la crisi del mercato immobiliare, iniziata nella seconda metà del primo decennio di questo secolo, la riduzione delle aliquote e l’estensione dell’importo fisso era desiderabile per sostenere la crescita economica, ben più dell’elargizione a pioggia di bonus e incentivi, molto utili alla formazione del consenso da parte dei proprietari di immobili residenziali, ma senza nessuna attenzione agli immobili a destinazione produttiva, commerciale, terziaria e turistica. In pratica ora si tratterebbe di far prevalere gli effetti economici senza indebolire quelli giuridici.

Per conseguire questo obiettivo occorre ricordare che, anche per la tassazione delle transazioni immobiliari, più progressive sono le imposte, più disincentivi creano alle transazioni. Questo aspetto è di particolare importanza per due ragioni: la prima è la situazione di crisi del mercato immobiliare e delle compravendite; la seconda è che la controprestazione ricevuta (la certezza giuridica degli atti) non implica la progressività di una parte del costo della transazione. 

Poiché il prelievo varia  notevolmente tra  abitazioni prima casa e fabbricati strumentali, e se lo scambio coinvolge privati o imprese, a parità di numero di compravendite il gettito è molto maggiore per gli immobili che non sono prime case. Pertanto, una riduzione delle imposte sui trasferimenti degli immobili, non solo sulle prime case, ma generalizzata a tutte le transazioni, potrebbe risultare molto vantaggiosa in termini economici di aumento delle entrate e di rivitalizzazione del mercato immobiliare complessivo. Un ulteriore passo in avanti sarebbe l’assegnazione di una quota del gettito ai comuni, giustificata dal ruolo di promotori e di regolatori dello sviluppo immobiliare.

Questa proposta di riforma andrebbe nella direzione opposta rispetto all’attenzione, seguita fin qui da tempo, per le caratteristiche particolari dei contribuenti, in forma di agevolazioni ed esenzioni, che hanno aumentato la complessità e i costi del sistema fiscale e costruito un fisco (e sovvenzioni) ad personam.

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